Tutto come previsto. Martin Winterkorn ha dato le dimissioni e il suo successore verrà scelto in occasione della riunione del Consiglio di sorveglianza prevista tra poche ore. Se dalla complessa governance del gruppo Volkswagen fosse stato possibile individuare un responsabile ancora più in alto, gli americani avrebbero chiesto anche la sua testa.

Winterkorn paga per tutti, anche se è difficile credere che fosse l’unico componente del Management Board a conoscenza del software incriminato. La tecnologia Volkswagen, compresa quella dei motori diesel, si estende a tutti i marchi del gruppo che ne fanno uso: è difficile che anche alcuni responsabili di brand (come Stadler di Audi, Vahland di Skoda) o Klinger, responsabile delle vendite di gruppo, non sapessero nulla.

Per tentare di uscire da situazioni come queste, la parola d’ordine è “discontinuità”. Non a caso, nella sua breve lettera di commiato, Winterkorn ha scritto: “Volkswagen needs a fresh start – also in terms of personnel. I am clearing the way for this fresh start with my resignation“. Di conseguenza, almeno sulla carta, la lotta alla successione di Winterkorn, che oltre ad essere Chairman del Management Board era anche responsabile della funzione R&D, dovrebbe tagliar fuori coloro che presumibilmente sapevano. O addirittura potrebbe essere opportuno un segnale ancora più forte, come le dimissioni di tutti i membri del Management Board.

Chiunque avrà la leadership del Gruppo, avrà un compito da far tremare i polsi. I nomi che circolano con più insistenza sono quelli del capo di Porsche, Matthias Müller, e del capo del marchio Volkswagen, Herbert Diess, arrivato a luglio da BMW. Vale la pena ricordare che il marchio Volkswagen è in sofferenza da anni: l’anno scorso i profitti sono stati di circa 2 miliardi e mezzo (con un margine del 2.5%) grazie soprattutto al contributo delle JV cinesi, ma quest’anno, con il calo del mercato, potrebbe perdere soldi. Ed è proprio per assicurare un focus esclusivo sul marchio che è stato chiamato Diess (prima il brand era affidato a Winterkorn) e a maggior ragione riteniamo che dovrà continuare ad occuparsene adesso.

Dal canto suo, Müller può vantare il successo di Porsche, sia in termini di volumi (circa 190mila unità lo scorso anno), che di profitti (più di 2.7 miliardi con un margine del 15.8%). Porsche sta inoltre attraversando senza problemi la crisi del segmento luxury in Cina ed è risultata prima assoluta per affidabilità negli Stati Uniti nel ranking J.D. Power 2015. Potrebbe spuntare un outsider ma Müller è il favorito. Anche se, un conto è gestire Porsche e un altro è portare fuori il Gruppo tedesco da questa situazione.

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