Non sono un’appassionata di tecnologia, né una “early adopter”: lo smartphone l’ho comprato quando l’avevano già tutti, e il computer portatile sta sempre nella mia borsa solo perché è un’appendice a cui non posso rinunciare. Eppure negli ultimi anni si è formata in me una certezza granitica: la tecnologia ci migliora la vita. Anzi, due certezze: ci migliora la vita e non si può fermare.

Per questo di fronte alla notizia che l’ente federale che regola la sicurezza stradale negli Stati Uniti ha formalmente riconosciuto dignità di “guidatore” ai software delle Google Car, non provo lo stesso (legittimo) sentimento di paura descritto da Monica. Mi sento molto più incautamente serena, come se avessi sempre saputo che prima o poi sarebbe successo. Ormai ho capito che qualcuno vede più lontano di me. Mi è capitato con il cellulare, con Internet, con il tablet, con lo streaming: prima di incontrarli non ne sentivo la necessità, e ora non saprei farne a meno.

Le auto a guida autonoma non mi spaventano più di certi guidatori, così come non mi preoccupo quando salgo sulle metropolitane senza conducente. Certo, il traffico di superficie è un’altra cosa, ma sono fiduciosa che arriveremo ad affidarci ai robot anche per spostarci su strada. E sarà bellissimo. Gli anziani e i disabili ritroveranno la loro autonomia, faremo meno incidenti e impiegheremo meglio il tempo dedicato agli spostamenti. Potremmo arrivare persino a sciogliere le code in tangenziale, perché il traffico sarà più razionalmente fluido. Ma ora forse mi sto spingendo un po’ troppo in là con la fantasia.

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