Sergio Marchionne ha scritto un’altra pagina della storia dell’automobile, anche se forse vi è stato costretto più di quanto l’abbia voluto. L’accordo con Google per la collaborazione sulla guida autonoma non era la sua prima scelta: fino a che ha potuto il manager italo canadese ha provato a bussare a tutte le porte, dalla GM alla Ford, dalla Peugeot alla Volkswagen, nel tentativo di consegnare al suo gruppo industriale un futuro in linea con il passato da protagonista che i due marchi avevano avuto sui mercati europeo e americano.
Quelle porte sono rimaste chiuse per miopia dei rispettivi dirigenti o per sadico spirito darwiniano, la storia ci dirà quale delle due, e Marchionne ha scelto allora di aprire una nuova fase: è il primo CEO di una casa automobilistica a legittimare l’ingresso di un’azienda di high-tech nel campo automobilistico.
La sua strategia iniziale non era soltanto un sogno di grandezza, ma piuttosto la rassegnazione all’idea che da sola la FCA non poteva più farcela. La soglia dei sei milioni di auto vendute che lui stesso aveva indicato otto anni fa come livello della sopravvivenza per una casa automobilistica, si è arricchita nel frattempo di nuovi dettagli. Per restare in campo occorrono una enorme disponibilità finanziaria per mandare avanti nuovi progetti, e poi un’esposizione al mercato globale capace di rendere competitivi i modelli su ogni mercato regionale. La FCA oggi forse non ha né l’una né l’altra, e infatti negli ultimi anni è stata tagliata fuori dall’innovazione dei modelli e dalla conquista di quote fuori dal tradizionale mercato nordamericano che pure continua a divorare le sue Jeep. Di conseguenza i profitti sono saliti ma la profittabilità è rimasta a livelli non competitivi; il debito resta alto e la fiducia della borsa è piuttosto bassa.
La decisione di stringere con Google non deve essere stata facile per Marchionne. La GM aveva provato a negoziare prima di lui con Krafcik, ma la discussione si era arenata sulla questione della proprietà della tecnologia da sviluppare per il futuro. Se Google ha finito per formare con FCA dopo un anno di trattativa, vuol dire che l’ago della bilancia si deve essere spostato verso gli interessi della casa di Mountain View, cosa del resto ben plausibile visto che nei cassetti FCA c’è ben poco di sviluppato in termini di guida autonoma. Tra l’altro l’accordo non prevede esclusive, e quindi non è scontato che la prima vettura commerciale con autopilota Google sarà la Chrysler Pacifica.
La miniflotta di 100 vetture però è al momento il primo progetto compiuto che si avvale della collaborazione reciproca dei due settori industriali. Potrà servire da piattaforma per i legislatori che si apprestano a definire le regole per la produzione e la circolazione delle auto semoventi. Potrà perfino lanciare una proposta di mercato, se l’unione durerà nel tempo e si rafforzerà.
In questo caso il nome di Marchionne resterà nella storia come il dirigente che ha aperto la porta alla svolta nel campo dei trasporti, il primo ad aver accettato di rompere il monopolio del vecchio mondo industriale a favore dell’incalzante preponderanza del software. Per dirla con Brecht: “Felice il paese che non ha bisogno di eroi”. Forse Marchionne ha dato alla FCA l’unica possibilità di sopravvivere in un mondo che non è più piatto e finito.