Il Wall Street Journal ha calato il suo giudizio sull’odioso dibattito in corso su chi tra i costruttori beneficiari dei prestiti del governo americano sia stato il debitore più giudizioso e tempestivo nel ripagare: la Chrysler di Sergio Marchionne o la Tesla di Elon Musk, e lo ha fatto con la stesso sprezzo per le mezze parole che fino ad ora ha caratterizzato la discussione.
La californiana, dice il giornale di Murdoch, è un’azienda con una proprietà miliardaria che ha usato i soldi di noi poveri contribuenti per costruire una bolla finanziaria che un giorno o l’altro è destinata a scoppiare. Scoppierà appena il ristretto mercato di chi è disposto a spendere 80.000 dollari per una roadster elettrica si sarà esaurito, e nel momento in cui le grandi di Detroit non avranno più bisogno di comprare da lei i crediti ecologici che oggi si aggiudica costruendo una manciata di vetture oggi vendute sottoprezzo di 10.000 dollari l’una.
Questa diatriba ha già rubato troppo spazio ai media di settore e andrebbe consegnata alla pattumiera. Non sarebbe in realtà neanche nata se non per una nota che il direttore della comunicazione della Chrysler, Gualberto Ranieri, ha consegnato a tarda notte al suo blog, con il risultato di nobilitare l’argomento della Tesla. Perché non c’è naturalmente nessun metro di paragone tra le due aziende, e tantomeno tra i due tipi di prestiti: l’uno un premio per chi continua ad inseguire il sogno dell’elettrico a più di un secolo dalla sua nascita; l’altro un progetto di rilevanza nazionale per gli Usa, una scommessa tra la vita e la morte che ha coinvolto in modo trasversale la società americana e il settore automobilistico.
L’unico appiglio che permette a Musk di lanciare il guanto, anzi la scudisciata dell’insulto “straniero!” alla volta di Marchionne, sono naturalmente i soldi, e precisamente quei 10 miliardi di dollari di capitalizzazione che la Tesla è riuscita a costruire su basi strutturali che ad essere generosi si possono dire pericolanti.
Questo dettaglio sposta infine il discorso su un piano di osservazione che può essere più stimolante. Avete notato come il business dell’elettrico abbia negli ultimi anni attirato una serie di pensionati miliardari dell’auto in cerca di una seconda vita?
Cominciò Robert Stempel passato dalla direzione del board della Gm al comando della Ovonix, produttrice di batterie, dopo la defenestrazione dal board della Gm nella notte del lunghi coltelli del ’92. Lo seguì a ruota, anzi due ruote Lee Iacocca con la disperata impresa delle biciclette Zap. Ora come già stigmatizzato efficacemente su questo blog è la volta dell’improbabile conversione ecologista di Bob Lutz: dal jet da combattimento cecoslovacco Albatross alla malandata Fisker Automotive.
Viene da chiedersi se questi sono atti di dolore recitati in zona Cesarini, o piuttosto l’ultimo atto di cinismo di chi sa dove è possibile fare “one more buck”, l’ultimo verdone. Con poca fatica e alle spalle degli altri.
[…] stare tranquillo. Ma fino a un certo punto. Di sicuro, Marchionne risulta piuttosto popolare: da Tesla a Great Wall a Volkswagen per Alfa Romeo, viene sfidato come fosse a capo del gruppo numero uno […]