Un altro richiamo per la Gm: mezzo milione di vetture, con un assortimento che va dai pickup alle berline, dalle piccole, alle ammiraglie del gruppo. Tutte affette da un problema di software che permette al cambio di scivolare dalla posizione di guida a quella di drive anche a motore spento, anche con la vettura parcheggiata. L’annuncio è arrivato alla vigilia di lunedì 30 giugno, quando il consulente Feinberg ingaggiato dalla Casa farà sapere quanto la Gm si propone di offrire ai familiari delle vittime che viaggiavano sulle sue auto difettose.
Nel frattempo però è uscito dall’anonimato con un’intervista televisiva l’ex manager Bill McAleer, trentasei anni di carriera alla General Motors: dalla catena di montaggio, alla direzione di programma globale che doveva certificare la qualità delle auto prodotte. Il metodo seguito era il più semplice e il meno frequente dei programmi di controllo: la guida su circuito di prova a fine linea.
McAleer ha coordinato tale programma e i dati che ne scaturivano da tre continenti dal 1988 al ‘98, anno in cui le sue raccomandazioni hanno iniziato a incontrare resistenze da parte dei manager che avrebbero dovuto raccogliere ed agire di conseguenza. Quando ha insistito che alcuni dei problemi rilevati dal circuito erano di “conseguenze catastrofiche” gli è stato detto che doveva cambiare lavoro, e che poteva scegliere lui cosa fare e dove andare, persino alle isole Hawaii. Una offerta che è sinonimo di un precoce, dorato pensionamento aziendale.
Il controllore ha insistito, ha scritto una lettera aperta al consiglio di amministrazione, e di fronte al silenzio ha citato in giudizio. In altre parole ha seguito l’esempio di Pinocchio di fronte a Melampo, il corrotto cane da guardia di Collodi che lasciava i ladri rubare le galline in cambio di una commissione. E come Pinocchio, che fu premiato per la sua solerzia dal padrone dei polli che lo liberò dalla catena, McAleer è stato alla fine messo in libertà dalla Gm, nel senso che lo hanno licenziato.
La vicenda chiarisce dunque un piccolo dettaglio: la “cultura del diniego” all’interno della Gm di cui ha parlato tante volte la Ceo Mary Barra, non è stata una deriva imboccata sotto la pressione della crisi e della bancarotta. Era iniziata almeno dodici anni prima in un’azienda già in fase di ridimensionamento, che si rifiutava di riconoscere i propri errori e i propri difetti.