La Russia, fino a pochi anni fa quando le vendite crescevano ogni anno a doppia cifra, era considerata il nuovo Eldorado e molte Case, oltre a investire miliardi in nuovi impianti, si affrettavano a consolidare il mercato russo nella regione europea per salvare i loro bilanci. Oggi è un fuggi-fuggi generale, a causa del bagno di sangue derivante dal crollo della domanda (-32% nei primi due mesi dell’anno) e dalla svalutazione del rublo.

Questo vale per coloro che importano veicoli in Russia, ma anche per coloro che, in tutto o in parte, producono localmente, data l’incidenza sul costo delle componenti acquistate dall’estero. Gli analisti stimano che il 70% delle auto che si vendono in Russia generino una perdita significativa per i costruttori.

Nissan, Ford, Volkswagen hanno sensibilmente ridotto o sospeso la produzione, licenziando migliaia di persone, mentre Gm ha addirittura deciso di chiudere la fabbrica di San Pietroburgo, contigua a quella di Toyota, e di non commercializzare più il marchio Opel. Un brutto colpo per Karl-Thomas Neumann, alias l’Astrofisico, che puntava molto sulla Russia per aumentare i volumi e raddrizzare i conti.

Ma anche per Carlos Ghosn, nonostante l’alleanza Renault/Nissan sia il gruppo con la produzione maggiormente localizzata in Russia, che non più tardi di un anno fa aveva ribadito il suo ottimismo e sminuito l’impatto della posizione del governo russo con l’Occidente a riguardo dell’Ucraina.

Di questo passo, si prevede che il mercato (autovetture e commerciali leggeri) quest’anno chiuderà a circa 1.6-1.7 milioni, compresi i veicoli importati, rispetto ai 2.5 milioni dello scorso anno, mentre si stima che la capacità produttiva installata localmente sia pari a 3.5 milioni di unità. Il che fa pensare che, anche qualora dovesse esserci un’inversione di tendenza, è improbabile che nel medio termine la Russia torni ad essere un mercato profittevole.

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