Sergio Marchionne presenterà il 27 gennaio i risultati del 2015 per Fca e il nuovo piano prodotti. Sono prevedibili parecchie sorprese accompagnate da qualche certezza. Una riguarda direttamente l’Italia: per la prima volta, da molti anni a questa parte, l’auto “made in Italy” è tornata ad alzare la testa a livello di produzione. In attesa delle cifre ufficiali, il conto sulla punta delle dita è presto fatto.

Due fabbriche di Marchionne hanno tirato la volata: Melfi ha sfornato 390.000 pezzi (180.000 Renegade; 120.000 500X e 90.000 Punto) e Pomigliano ha toccato il nuovo record con 177.000 Panda.  Mentre Cassino (40/50.000 Giulietta); Mirafiori (12.000 Mito); Modena (4/5.000 Maserati e AlfaC) e Grugliasco (28/30.000 Maserati) hanno vivacchiato. Alla grande è andata anche l’abruzzese Sevel, che è riuscita a battere tutti i record con 230.000 Ducato (e cugini francesi) distribuiti in tutt’Europa, ai quali vanno aggiunti i componenti spediti in Messico per l’analogo mezzo prodotto a marchio Ram.

Tirando le somme si sfiorano i 900.000 pezzi “made in Italy” contro i circa 650.000 (sempre furgoni compresi) del 2014. Tutto questo senza considerare la lievitazione della produzione motoristica a Termoli e a Pratola Serra ma soprattutto nella Vm di Ferrara (quasi 110.000 motori), che ha continuato a riempire le stive delle navi con propulsori diesel V6 con destinazione Detroit dove vengono montati sui Ram e sulle Grand Cherokee.

Sul piano dei posti di lavoro, va registrato il calo relativamente modesto della cassa integrazione (che anzi è rispuntata a Grugliasco), ma anche oltre 2.000 assunzioni soprattutto in Basilicata e in Abruzzo. E’ invece impossibile quantificare con precisione gli effetti sull’indotto. La rinascita della catena logistica (i treni Grugliasco-Livorno e Melfi-Civitavecchia oltre al boom portuale) è tuttavia destinata a lasciare tracce profonde e diffuse sul territorio italiano.

Va inoltre fatto un accenno all’aumento del valore prodotto: il boom di Renegade e 500X, vetture vendute fra i 20 e i 30.000 euro, ha consentito a Melfi di  creare un nuovo giro d’affari ben superiore ai 6 miliardi di euro che ha ampiamente compensato sia il calo della produzione delle Punto che quello delle Ghibli e delle Giulietta.

Fin qui i numeri. Che non sono trionfali perché l‘Italia continua ad assemblare meno della metà delle auto spagnole. Tuttavia almeno siamo tornati a superare l’Iran…

Ma poi c’è un dato qualitativo strategico: le cifre confermano quanto l’Istat ha certificato nel corso di tutto l’anno, ovvero che è stata l’auto il vero “segreto” della (piccola) crescita del Pil italiano. Circa la metà di quel +0,7/0,8% maturato nel 2015 è stato accumulato proprio lungo le catene di montaggio di Melfi, Pomigliano e Atessa. Non accadeva da tempo immemorabile.

La questione è tutt’altro che banale. E un Paese meno superficiale e più consapevole ne dovrebbe discutere approfonditamente e con onestà intellettuale. Il caso “auto made in Italy” pone infatti due domande di fondo: Marchionne ha avuto ragione o meno nel 2010 a rompere con il “sistema Italia”? E ancora: l’industria può ancora essere la vera leva dello sviluppo italiano? 

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