Cosa unisce il mondo della Formula 1 e Jamie Vardy, centravanti del Leicester campione d’Inghilterra e della nazionale inglese? Prima dell’intervista rilasciata al Sun qualche giorno fa, assolutamente niente. Nel mondo dorato dei top team che si sfidano sulle piste di tutto il mondo, tra paddock trafficati da ingegneri che elaborano calcoli di aggiustamento dell’assetto definitivo delle macchine, meccanici indaffarati a sistemare i minimi dettagli e belle donne alla ricerca di qualche foto da copertina, Jamie Vardy è un intruso senza pass di accesso.
Figlio della working class inglese, operaio in un’azienda che produceva protesi in fibra di carbonio fino a non molti anni fa, l’attaccante della squadra che ha declinato nella realtà della Premier League la favola di Cenerentola uscirebbe di pista alla prima curva se si mettesse alla guida di un qualunque veicolo di Formula 1. Un legame con quel mondo, però, è nato dall’intervista di cui sopra, nella quale Vardy ha svelato che, della dieta che segue il giorno delle partite ufficiali, fanno parte ben tre lattine di Red Bull, la nota e controversa bevanda energetica che è proprietaria di due team del grande circo gestito da Bernie Ecclestone: la Red Bull, appunto, e la Toro Rosso.
Compagnia multinazionale con sede a Innsbruck, Red Bull punta moltissimo sullo sport quale veicolo promozionale della sua immagine. Gli investimenti nel settore sono ingenti: si parla di cifre intorno al 30% del fatturato complessivo. Non si tratta, però, di mere attività di sponsorizzazione: l’azienda austriaca si inserisce nei contesti nei quali decide di essere presente come un player principale, acquistando squadre già esistenti per ristrutturarle completamente e dirigerle in sintonia con i valori e le strategie definite dall’headquarter.
Esempio calzante è proprio la Formula 1, dove Red Bull ha rilevato nel 2004 la Jaguar Racing (per la simbolica cifra di un dollaro) e nel 2005 la Minardi (che oggi corre col nome di scuderia Toro Rosso), imponendo il proprio management e riformulando da zero i piani di sviluppo dei team. I risultati non si sono fatti attendere per troppo tempo: la Red Bull Racing ha vinto il titolo mondiale costruttori e piloti per quattro anni consecutivi (dal 2010 al 2013) ed è oggi alle spalle solo della straripante Mercedes.
Lo stesso modello di business è stato adottato per entrare nel mondo del calcio, anche se i risultati, almeno a livello internazionale, devono ancora arrivare: l’azienda oggi è proprietaria di diversi team, dai New York Red Bull al Red Bull Brasil, dal RasenBallSport Lipsia al Fussballclub Red Bull Salzburg. L’intento è sempre quello di abbinare le caratteristiche del prodotto con i valori che lo sport riesce a veicolare: reattività, energia, amore per la competizione. Ecco perché Jamie Vardy e la Formula 1 non sono mondi così lontani.