La notizia la sappiamo: Nico Rosberg ha lasciato a sorpresa la Formula 1, il giorno seguente aver vinto per la prima volta il mondiale a bordo di una Mercedes. A 31 anni, arrivederci e grazie. A montagne di soldi, di pressione, di vite degli altri. Ne ho sentite e lette di tutti i colori su di lui: non ha le palle (traduco in volgare), non ha fame, non ha stoffa, non ha. Lui, una moglie e una figlia, ha solo scritto: “Ho scalato la mia montagna”.
Nico, arrivederci e grazie. Ho appreso la notizia mentre stavo al Motorshow di Bologna, dove mi dicono fosse atteso il 6 dicembre, chissà se andrà più. Un luogo dove la gente comune cerca soprattutto lo spettacolo della velocità, senza essere pilota. Guardando e sognando altri ragazzi che a loro volta inseguono Nico.
Nico, arrivederci e grazie. La notizia mi ha dato un senso di sollievo verso l’intero mondo della Formula 1. Dove conta soltanto avere le palle, avere fame, avere stoffa. E non guardare in faccia a nessuno. Nico invece l’ha fatto. Ha guardato in faccia il mito del padre Keke, che oggi ha 67 anni, e si è detto: sono stato come te, ora mi sento libero.
Niente di epico, s’intende, nelle relazioni pericolose fra certi padri e certi figli, o in fondo fra padri e figli. Ma il gesto di Nico e la falsa epica intorno mi fanno venire in mente l’epica vera dell’Eneide, dove Enea a un certo punto deve decidere: restare a combattere e rischiare anche di morire, o pensare al futuro, alla continuità della vita e della stirpe?
Rosberg ha sempre vissuto nella bambagia, avrà detto addio alle piste, ma non “a montagne di soldi”.
E poi diciamocelo, per avere “fame” (sempre quella di traguardi, ovviamente) devi prima patirla. Hamilton proviene da un ambiente ben più umile e avaro di soddisfazioni. E infatti…