Dalla metà di dicembre, il museo Walther P. Chrysler, dedicato al fondatore dell’omonima casa automobilistica, ha chiuso al pubblico. Alla notizia sono rimasto decisamente triste.
L’heritage, termine anglosassone che si può rendere come retaggio, eredità culturale, gioca un ruolo molto importante nel settore automotive. Sono passati ormai 130 anni dal famoso “giretto” di Bertha Benz: più di un secolo, nel quale l’industria dell’auto ha accumulato innumerevoli successi (ed insuccessi) che hanno contribuito a rivoluzionare la nostra vita quotidiana. E’ perciò normale, da parte delle case automobilistiche, avere a cuore questo patrimonio: esso contribuisce alla propria brand identity, e dà lustro ed ammirazione all’azienda stessa, oltre a fornire una base di partenza per quelle che spesso sono campagne pubblicitarie di successo (il marketing ringrazia).
Diventa allora perfettamente logico esibire i propri trionfi in strutture costruite ad hoc, siano moderni capolavori di architettura, come l’avveniristico Mercedes-Benz Museum o il Bmw Welt (con annesso museo), oppure strutture più funzionali, come il Museo Lamborghini, attiguo alla fabbrica di Sant’Agata, o lo Stiftung AutoMuseum Volkswagen di Wolfsburg. Sono presenti nei posti più disparati: come il Musée de l’Aventure Peugeot, situato in un paesino francese di 4000 anime ai piedi delle Alpi occidentali. Sono realtà che attraggono l’attenzione, prima o poi, di ogni appassionato dei motori, felice di cimentarsi in occasionali pellegrinaggi.
Situato ad Auburn Hills, Michigan, storica sede di Chrysler, sostituita oggi dalla filiale americana di Fca, il museo, una struttura di 5000 metri quadri divisa in tre piani, ospitava percorsi a tema sulle tecnologie da loro sviluppate ed esposizioni di modelli sia della casa americana, sia di quei costruttori da essa acquisiti nel corso della sua storia, come Dodge, DeSoto, Plymouth o Willys-Overland, famosa la mitica Jeep. Aperto nel 1999, il museo aveva già subito una chiusura nel 2012, per lo scarso numero di visitatori. La successiva riapertura, a weekend alterni, è durata fino ad una dozzina di giorni fa, con le auto che verranno messe in un deposito, chiuso ai visitatori. Motivazione: serviva spazio per nuovi uffici.
La verità è che, contando l’Heritage Center di Gm, chiuso ai visitatori esterni, delle Big Three di Detroit resta solo Ford con un museo aperto al pubblico. Perché loro hanno successo, rispetto alle altre due? Forse è il mito di Henry Ford ad attirare visitatori. Più probabile, invece, dipenda dal fatto che il museo, pur avendo sede a Dearborn, casa della Ford, è di fatto gestito da una fondazione privata, e non dall’azienda stessa. Inoltre, le sue esposizioni spaziano oltre le auto, offrendo una collezione di oggetti “made in Usa” di importanza storica, un cinema Imax, un villaggio storico preservato per mostrare lo stile di vita americano nei secoli passati.
Insomma, non è solo un’estensione della casa automobilistica, come nella maggior parte dei casi, ma un vero e proprio museo, gestito in maniera separata da una fondazione senza scopo di lucro. Che le case automobilistiche abbiano l’abitudine di preservare le loro vetture per la posterità è già una gran cosa, ma, anziché lasciarle a prendere polvere in capannoni bui, meritano di essere esposte: se la cosa viene fatta in maniera intelligente, riuscendo ad attirare e coinvolgere visitatori, i costi da sostenere non dovrebbero essere eccessivi. In fondo, parafrasando Indiana Jones, “dovrebbero stare in un museo”.