La Fiat ha annunciato di voler assumere 500 giovani in Abruzzo per l’aumento della produzione del Ducato, ma sui giornali non se ne trova traccia. E’ accaduto martedì 19 marzo. Il giorno delle avances della famiglia Peugeot per una possibile fusione con Fiat Chrysler, che invece hanno riempito le pagine economiche.

E’ il vecchio vizio dei giornali di preferire il “gossip” alle notizie in carne ed ossa? E’ lo strapotere della finanza che annulla l’economia reale e la vita dei popoli? E’ un errore di comunicazione della Fiat? Ognuno si dia la risposta che più gli aggrada.

Fatto sta che l’episodio mette in luce per l’ennesima volta un problema di qualità nel rapporto fra la Fiat e gli italiani, una delle spie più interessanti della convivenza difficile negli ultimi decenni fra l’industria e l’opinione pubblica. Per capirlo basta raccontare per sommi capi gli avvenimenti che hanno accompagnato l’evoluzione di due notizie analoghe lanciate da Fiat Chrysler sugli investimenti programmati sia in Italia che negli Stati Uniti.  5 miliardi di euro in Italia, 4,5 miliardi di dollari a Detroit.

Le differenze iniziano fin dal comunicato. In quello italiano tutto ruota intorno alla destinazione ai vari stabilimenti di nuovi modelli o all’elettrificazione di alcune vetture oggi in produzione e si afferma abbastanza genericamente di voler puntare all’eliminazione della cassa integrazione alla fine del piano. Un piano accolto con un sospiro di sollievo più o meno grande un po’ da tutti ma anche dalle lamentele di chi vi ha visto un bicchiere mezzo vuoto: solo la 500 elettrica per Torino, ad esempio.

Passano appena 15 giorni e il governo giallo-verde lancia una tassa sulle emissioni di Co2 congegnata in modo tale da far pagare fino a 400 euro persino sulla Panda. Nonostante le correzioni finali, per Fiat Chrysler l’imposta è andata a penalizzare 14 modelli prodotti in Italia favorendone una ventina di importazione. Fca ha reagito prima sospendendo il piano e poi confermandolo. Il tutto attraverso dichiarazioni “lontane” rilasciate da Manley durante i saloni dell’auto in giro per il mondo.

Al di là di ogni considerazione sulla qualità del piano Fca e della legislazione grillo-leghista, l’intera vicenda segnala crepe gigantesche nel rapporto fra industria automobilistica, potere politico e opinione pubblica che non si riscontrano in altri paesi che producono auto.

La controprova arriva, manco a dirlo, dall’America. Innanzitutto il comunicato di Auburn Hills del 26 febbraio è dettagliatissimo: vi sono indicati gli investimenti stabilimento per stabilimento, i modelli che saranno prodotti e si specificano persino le 80 (ottanta) nuove assunzioni sulle 6.500 totali suddivise per i reparti stampaggio delle fabbriche di Warren e Sterling Heights.

Un trampolino sul quale è saltata tutta l’America. I tweet al miele di Donald Trump (del tutto analoghi agli innumerevoli complimenti formulati da Barack Obama a “Serghioo”) si sono sommati all’annuncio del sindaco di Detroit che ha assicurato incentivi locali per 80 milioni di dollari e l’immediato esproprio dei terreni dove nascerà una nuova fabbrica, la prima a Detroit dal 1992. Automotive News è arrivata a scrivere che se continua così Fiat Chrysler diventerà a breve il costruttore col numero maggiore di dipendenti negli Usa sopravanzando la Gm. Tutto liscio, tutto patinato. Come in un film hollywoodiano.

Vale la pena perdere ancora tempo a spiegare perché il cuore di Fca batte a Detroit?

A questo punto varrebbe la pena invece dedicare qualche minuto a un supplemento di riflessione sul rapporto fra italiani e industria dell’automotive. Un recente rapporto dell’Anfia ha quantificato in 93 miliardi annui, componentistica compresa, il fatturato dell’automotive italiano, in 250.000 il numero totale degli occupati e nel 7% il peso sul nostro malandato Pil. Allora la domanda è: l’Italia cosa vuol fare di tutto questo bendidio? Possiamo continuare a trattarlo come qualcosa di estraneo o addirittura nemico? Intanto, tanti auguri ai neoassunti e al Ducato.

Commenti
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    Ma cos’è, uno scherzo? FCA ha abbandonato l’Italia, la maggior parte degli investimenti è andata negli USA, le decisioni vengono prese la, gli stabilienti italiani lavorano a singhiozzo, marchionne (la minuscola è voluta) non ha mai rispettato uno solo dei suoi pianiindustriali, il rilancio Alfa (rilancio?) è ridicolo, e lei ci viene a chiedere come mai in Italia FCA è vista male? Ma sta scherzando o vive in un mondo parallelo?

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