Herbert Diess non è esattamente una pop star del settore come Elon Musk o come lo era Sergio Marchionne, ma fa il ceo del gruppo Volkswagen che se la batte con Toyota per il primato mondiale. Eppure da tempo mi capita spesso – isolamento da Covid a parte – che in una situazione professional-conviviale come un pranzo o una cena con addetti ai lavori, Diess diventi argomento amletico di discussione.
Ma tu che dici? Ce la fa o no? Lo fanno fuori i suoi o si fa fuori da solo con la decisione di puntare tutto sull’auto elettrica con una chip da oltre 70 miliardi? Lo scontro interno su di lui dura almeno da un anno, con il sindacato che sembra giocare di sponda con chi dentro al gruppo e ai piani alti non gli è amico.
Facile che un ceo sia pieno di nemici. Poi c’è la politica – il Land della Bassa Sassonia è il primo azionista – e c’è il mercato, fra crisi da Covid e da microchip oltre a veicoli a zero emissioni che non tirano più di tanto fra prezzi alti e penuria di infrastrutture di ricarica. Se poi le ID.3 e le sue sorelle alla fine non fossero vendute secondo obiettivo, questa sarebbe un’altra pietra rotolante.
IG Metall ha messo Diess sulla graticola per la gestione della strategia elettrica – che prevedrebbe un taglio di 30.000 posti di lavoro – e della crisi dei semiconduttori. Lui ha smentito la prima, ed è curioso perché tutti i costruttori dovranno ridurre con l’elettrico parte dell’occupazione attuale nei prossimi anni, e ha dato speranze sulla seconda per metà 2022, né più né meno come hanno fatto altri suoi colleghi in quella che è una collettiva navigazione a vista.
Ce la fa o no Diess? Pare di sì, anche questa volta. Ma il punto è un altro: cambiare timoniere a Wolfsburg senza cambiare la carta nautica e la destinazione finale non servirebbe a niente. Anche perché la direzione è stata concordata da Diess e dai suoi azionisti con il sistema Germania dopo lo scandalo del dieselgate, sei anni fa. E via Angela Merkel, Spd e Verdi al governo ormai prossimo sono ancora più vicini alla scelta elettrica. Che poi è quella giusta.
Né è una contraddizione dare qualche colpo di freno, come accade da un po’ a Bruxelles nel lavoro della lobby tedesca sulla Commissione e come si è visto alla Cop26, dove Volkswagen e Germania risultano tra i non firmatari della proposta di fermare la produzione di motori endotermici dal 2040. E’ cautela, in tempi in cui l’imprevedibile è una certezza da prevedere.
Diess è insomma questa Volkswagen, di lotta e di governo, di visione e di io speriamo che me la cavo. Uno che un giorno strizza l’occhio a Greta Thunberg e un altro scimmiotta sui social Elon Musk, senza esserlo. Ecco, piuttosto gli imputerei di pendere troppo dalle labbra di Musk. L’ho scritto già l’anno scorso qui su Carblogger e qualche giorno dopo alcuni top manager del gruppo si sono lamentati (anonimamente) per la stessa cosa con Handelsblatt. Ma non era difficile sospettarlo.
Capisco che cercarsi un nemico è un topos, o che magari Diess tenga sul comodino il Nietzsche di “ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te”. Ma preferisco un comportamento alla Oliver Zipse, il ceo di Bmw, quando provoca Musk, l’ultima sulla qualità delle Tesla: “Where we differ is our standard on quality and reliability. We have different aspirations on customer satisfaction”.
[…] il top manager sterza tutto sull’elettrificazione, d’intesa con il sistema Germania, gli azionisti, il sindacato che siede nel consiglio di sorve… insieme ai Porsche e ai Piech in nome della cogestione. E’ un viaggio di sola andata, con la […]