Nel 2050, se tutto va bene, dovrei essere morto. Mi perderò un pianeta decarbonizzato e a zero emissioni, come ha promesso vagamente il G20 romano, anche se poi non è detto: per i compagni russi la data è il 2060, di quelli cinesi non ci si può fidare più di tanto mentre l’India ha dato un calcio al barattolo al 2070. Roba da Green past, mi vien da dire.

La questione è calda, troppo: se nel 2015 l’accordo di Parigi impegnava i 195 stati firmatari a contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi per non far soccombere la Terra, la tendenza attuale è tra i 2,6 e i 2,8. Per cui nel 2018 gli scienziati dell’Ipcc dell’Onu hanno tagliato corto: allora zero emissioni nel 2050. Cercando di contenere il disastro climatico, in cui ci metto anche la seguente notizia di questi giorni: in Islanda  il clima è cambiato al punto che quest’anno è cresciuto l’aglio. Una tonnellata, andata sold out a settembre. La gravità? Io odio l’aglio.

Ma che significa un 2050 decarbonizzato (che brutta parola) nel quale, se tutto va male, mi avranno ritirato quantomeno la patente? Oggi nel mondo 965 aziende e 63 Paesi (fonte Quartz) si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo. Ma il viaggio dalla Cop26 di Glasgow in poi è come andare su Marte.

Prendete un’azienda di automobili: non è che se vende soltanto auto elettriche ha raggiunto l’obiettivo. La catena virtuosa inizia con tagli diretti delle emissioni di gas serra ma poi ci sono gli indiretti sui quali l’azienda di auto non ha il controllo pieno: è quanto può accadere nei suoi uffici periferici come nelle concessionarie (se esisteranno ancora) o presso i propri fornitori. Il processo sa di incubo per tutti, dovendo cominciare dalla digitalizzazione di masse di dati per capire innanzitutto quale è la propria impronta inquinante e da lì avviare il che fare.

L’auto, come il resto dell’industria e ognuno di noi perché le grandi trasformazioni sono sempre cambi di cultura, nel frattempo deve fare i conti con i quotidiani disastri del clima. Le immagini dell’ultima alluvione in Sicilia, in quella East coast da sempre sofferente per siccità che conosco bene, sembrano una punizione divina per l’industria della mobilità: l’acqua spazza via e rovescia decine di automobili come fossero fiori di campo.

Per arrivare vivi al 2050 sostiene in una intervista Olivier Blum, direttore strategia e sostenibilità della multinazionale Schneider Electric con base a Parigi, il primo step per le aziende (auto comprese) è di passare velocemente dall’obiettivo di lungo termine alla realizzazione di un piano a breve. Pare che siano decisivi i prossimi tre anni per fare qualcosa che renda pronti per il 2050. Se fosse davvero così, potrei essere in tempo anch’io.

@fpatfpat

Lascia un commento