Nell’auto non abbiamo un Gutenberg che, come per la stampa, possa cambiare i destini della mobilità passando d’un colpo dal motore a scoppio a quello elettrico. Abbiamo avuto un ingegnere giapponese di nome Uchiyamada che si è inventato l’ibrido in Toyota, ma nulla di più.

Eppure la rivoluzione elettrica mi sembra adesso avanzare più velocemente di quel che si pensi: quando a diventare produttori di soli veicoli a zero emissioni dal 2030 ci sono marchi di volume come Renault, Fiat, Peugeot, Ford, Opel – voglio dire, le auto di tutti i nostri giorni, una cosa impensabile fino a poco tempo fa – qualcosa di straordinario almeno in Europa sta succedendo.

Nel Medioevo i libri erano rarità, così come chi li sapeva leggere. Dopo che Gutenberg inventò la stampa nel 1450, grazie a lui in Europa nel giro di cinquant’anni si calcola circolassero ben 9 milioni di libri, dal valore economico di un singolo volume del Medioevo. E non si trattava solo di Bibbia, ma di libri di storia, di letteratura, di grammatica. Usando un termine oggi alla moda: fu vera disruption.

Nel 2013 la Renault Zoe è stata la prima elettrica europea: fra soli otto anni tutte le sue sorelle in vendita saranno a zero emissioni. E costeranno mediamente meno in rapporto a prestazioni e autonomia.

Per uscire dal Medioevo del motore a scoppio e stare nel futuro, la Norvegia – che ha poco meno abitanti del Lazio – ci ha messo dieci anni, passando dall’1% di immatricolazioni di auto elettriche al 65% del 2021 e puntando all’80% nel 2022, come ha scritto su Time la direttrice della Norway Electric Association Christine Bu. Senza contare il 22% di ibride plug-in vendute sempre l’anno scorso.

Come è potuto accadere senza un Gutenberg, certo in un piccolo paese? Incentivando economicamente i consumatori: niente tasse sull’acquisto di un’auto elettrica, niente pedaggi autostradali e parcheggi gratuiti per auto a zero emissioni, naturalmente più infrastrutture. E con tanti saluti a chi pensa che il freddo, di casa in Norvegia, sia un pericoloso limite per l’autonomia delle batterie.

In Italia, l’Unrae – l’associazione dei costruttori stranieri che una volta pesava come lobby sul governo contando (se non ricordo male) su un filo diretto con Palazzo Chigi via Gianni Letta – ha chiesto in un accorato appello  “come il Governo italiano intenda definire, di concerto con le principali Associazioni di settore, l’agenda dei prossimi mesi e anni in termini di incentivazione all’acquisto per vetture di ultima generazione, accelerazione del ricambio del parco circolante, sviluppo delle infrastrutture di ricarica e riforma della politica fiscale del settore”. Cioè, come uscire dal Medioevo.

I costruttori (lo chiede ora anche Anfia in un comunicato congiunto con altri soggetti) vorrebbero impegnare il governo su come verranno spesi parte di quei 222 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Europa per il Pnrr. A ragione: delle 6 “missioni” o macro aree del Piano, almeno 3 riguardano direttamente la mobilità: “Transizione verde”, “Trasformazione digitale”, “Crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Ma quale governo ci attende visti i tempi quirinalizi?

Il mercato italiano dell’auto ha chiuso con un +5,5% rispetto all’anno scorso, considerato tuttavia da Unrae e da tutta la filiera un dato negativo avendo perso per strada circa mezzo milione di immatricolazioni rispetto ai tempi pre-Covid. Ma non è inseguendo il mito dei 2 milioni di un’altra epoca che si esce dal Medioevo.

Nel 2021 siamo stati “il paese dell’anno” per il mai tenero con noi The Economist, il Pil è cresciuto del 6,3% come in nessun altro paese europeo, l’Italia è diventata più attraente per gli investitori privati stranieri, come già rilevava uno studio di Ernst&Young e come si sta vedendo con il fondo Kkr per Tim.

Ma per la prima volta non è successo che il mercato dell’auto sia andato di pari passo con la crescita economica, come i cicli ci avevano abituato. E’ una nuova variante con cui fare i conti.

@fpatfpat

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