Non sono un anglista, ma la fine della produzione di Ford Fiesta entro l’estate dell’anno prossimo merita un farewell. Perché in inglese suona molto più intenso di addio, commiato, ultimo saluto. Perché Ford Fiesta è stata una grande auto pop fin dalla prima generazione del 1976, sfidando a casa nostra il monocolore Fiat, si chiamasse 127, Uno, Punto. Una bandiera del marchio issata sull’Europa.
“Era facile vivere allora, ogni ora”, cantava Francesco Guccini nella sua “Farewell” e sembra un po’ la storia di Ford Fiesta, che adesso lascia il campo perché non è più tempo di berline ma di suv, di piccole elettriche sennò meglio di no. Certo, c’è anche “Farewell” di Bob Dylan, “We’ll meet another day, another time“, ma ormai siamo all’ottimismo della volontà che porterà Ford – e i suoi clienti, se vorranno – altrove.
Non mi è mai passato per la testa di comprare una Ford Fiesta però una vita fa, per una vacanza in Portogallo, ne noleggiai una nuova di zecca all’aeroporto di Lisbona con cui ho girato da nord a sud comodamente. Lo so che in altri tempi, era il 1974, si andava in Portogallo alla Rivoluzione dei garofani al volante di una Citroen 2CV, ma allora non ero in età di patente. E la Fiesta era solo “Bobcat Project”.
Sempre una vita fa, quando sul mercato la Fiesta faceva davvero la Fiesta, mi capitò di intervistare l’allora presidente di Ford Italia Massimo Ghenzer, che mi ricevette con sulla scrivania una copia di 7-Sette, il settimanale del Corriere della sera.
In copertina c’era la nuova generazione della Fiat 500, niente a che vedere con la prima e con l’attuale. Squillò il suo telefono (fisso, i cellulari non esistevano) e in inglese strapazzò il malcapitato spiegandogli che in Italia Fiat era proprietaria di Rcs, 7 e Corsera, insomma un buon motivo perché non ci fosse lì una Ford Fiesta. Attaccò la cornetta (si faceva così): “Lei capisce l’inglese?”, risposi da finto tonto. Mi telefonò dopo la pubblicazione della chiacchierata mormorando che non aveva nulla da eccepire, salvo che sarebbe stato meglio non avessi riportato la storiella Fiat.
Molto tempo dopo, quando convinsi mio padre a comprarsi in tarda età un’auto piccola più facile da guidare, la sua scelta cadde su una Ford Fiesta. Non ne fu mai convinto e non per colpa dell’auto: aveva lasciato il cuore sulla sua vecchia Mercedes e qualsiasi utilitaria non gli andava giù.
“Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione, e il peccato fu creder speciale una storia normale”, cantava ancora Guccini in “Farewell”. Mai fidarsi dei cantautori. E dei giornalisti.
Ormai constatiamo la presenza sulle strade di vetture decennials e ultradecennials, le case hanno capito che una vettura convenzionale ha una durata compresa tra gli otto e i nove anni.
Il nuovo obiettivo delle case costruttrici è il finanziamento di 15 anni o 250.000 km con vettura in condizioni revisionabili anche dopo dieci anni e sopratutto per loro, quindi imposto nel finanziamento, mantenendo lo stesso contratto di servizio del primo anno. Da un punto di vista tecnico, ovviamente, non è difficile allungare la vita di un’auto. Il problema è il lato economico, quando non vale più la pena investire in una vecchia auto.
Per loro resta sempre un affare, finanziamento a lungo termine e spese di manutenzione aggravate sempre più nel tempo.
L’importante è evitare di produrre utilitarie che il popolo acquisterebbe evitando i finanziamenti a lungo termine e i costi di manutenzione sempre più onerosi nel tempo.
Prima la Punto, ora la Fiesta, poi sarà la volta della Polo.
Meglio un costoso SUV con noleggio della durata di un mutuo casa che un’utilitaria tutta e subito in proprietà, meno costosa nelle manutenzioni e nei consumi.