Di ritorno dal Salone di Parigi mi rimbombano le parole piuttosto preoccupate di manager occidentali on (e off) sull’arrivo in Europa delle auto cinesi di Xi Jinping. Una nuova generazione di elettriche a prezzi più bassi, avendo in casa quel che serve soprattutto per le batterie, oggi l’80% dei costi di un veicolo a zero emissioni secondo il ceo del gruppo Renault de Meo, comunque cauto. Al contrario del ceo di Stellantis Tavares, che al Mondial ha chiesto addirittura protezionismo e dazi anti-cinesi, coprendosi dietro una intervista del presidente francese Macron a Les Echos della sera precedente.

La paura fa più che novanta. Ma siccome è noto che i dazi sono antistorici – di recente è stata la scelta perdente di Trump, tra gli ’80 e i ’90 li chiedeva per i costruttori giapponesi l’allora presidente di Psa Calvet e sappiamo come è andata a finire – presumo che a Tavares stia andando storto qualcosa. Lo aspetta una lunga marcia, e non da solo.

A Parigi ho seguito la presentazione di Great Wall e dei suoi due marchi per l’Europa, Wey e Ora, e mi sono accorto dagli appunti che la parola più ricorrente in ogni speech è stata “trust”, fiducia. “L’Europa è per noi il mercato più importante fuori dalla Cina”, ha detto il capo delle operazioni sul continente di Great Wall, Meng (Henry, nome di battesimo occidentalizzato come usano i cinesi, ma non per tranquillizzare noi).

Il prodotto c’è. Design e qualità sembrano essere proprio un nuovo capitolo. Chez Henry come a casa Byd nell’altro padiglione  (però credo che sarei sfottuto ai semafori a Roma a girare con la scritta dell’acronimo Byd per esteso sul portellone “Build your dreams”, tipo: “Aho’ che vordì?”). Se Ora Funky Cat è un crossover elettrico di segmento B dallo stile attraente fino a ricordare il muso di una Porsche, Wey Coffee 01 è un suvvone ibrido plug-in con batteria per il motore elettrico da ben 40 chilowattora e autonomia fino a 146 chilometri. Non esiste altro al mondo, come se fossero due auto in una, infatti 01 ha un peso dichiarato da 2335 a 2365 chili. Un carro armato.

Chi ha paura dell’auto cinese dovrebbe però meditare. Henry e compagni chiedono fiducia ai consumatori europei promettendo macchine fatte sempre meglio a costi più accessibili (meno male) e puntando non alla vendita ma ad abbonamenti. Aveva iniziato a farlo ottimamente Volvo, poi la soluzione è sparita, almeno dalla comunicazione. Prendete i due suv di Lynk&Co (gruppo Geely controllante per altro di Volvo) con questa formula già operativa, a seguire nel 2023 in Germania ci sarà Great Wall con i suoi nuovi marchi.

Compagni che sbagliano? Il mercato dirà se funziona e se il futuro della mobilità privata a zero emissioni passerà davvero sui costi di un abbonamento tutto compreso, sempre più competitivi rispetto anche a quelli di un’auto tradizionale. Che per altro i cinesi potranno presto fare a meno di mandarci.

La Cina di Xi Jinping, appena eternizzatosi al potere, nel decennio scorso ha accolto col sorriso le fabbriche di microchip e di altri produttori americani ed europei di tech e automotive, che pensavano ai propri affari solo per risparmiare sui costi della manodopera. Ci siamo legati da soli mani e piedi a loro. Poi il Covid ha cambiato tutto: se la Cina dopo trent’anni di crescita tumultuosa (reggendo bene anche all’urto della crisi globale del 2008) ha dovuto adesso rallentare con un previsto 3% o poco più per il 2022, noi siamo sull’orlo di una recessione.

Xi Jinping ha eliminato qualsiasi dissenso, ma in economia questa inedita “crescita lenta” lo porterà a spingere ancora di più sull’export, auto comprese. Con il controllo super occhiuto del Partito sugli imprenditori privati, come per esempio è (mal) capitato al fondatore di Alibaba Jack Ma, ridimensionato e riallineato.

Xi Jinping annuncia “prosperità comune”, Macron invoca “sobrieté”, a Roma come a Londra si parla di “austerity”.  Lotta impari non solo nel linguaggio: nell’auto noi possiamo contare in primis sull’emozionale, sul vintage, sulla storia. Loro sulle materie prime, sulla tecnologia, sulla collocazione al centro del mondo. Fate voi. Xi Jinping ha un partito da quasi 97 milioni di iscritti con potere di vita e morte su tutti, noi una Europa politicamente fragile e incrinata da pulsioni sovraniste. E i dazi.

“Dobbiamo rimanere in allerta e rimanere sobri e prudenti come uno studente che affronta un esame senza fine”. Lo ha detto Xi Jinping ai suoi, ma è ciò che dovremmo ripeterci ogni giorno che viene. Nell’auto e probabilmente altrove.

@fpatfpat

Commenti
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    Ah, i dazi storicamente non funzionano? Forse è per questo che se voglio aprire un’azienda in Cina devo avere un socio cinese di maggioranza?

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