Non ho mai saputo se Carlos Tavares, ad di Stellantis, giochi a carte o a poker nelle esigue serate libere dal lavoro a 14 marchi più uno, o dalla famiglia, cui tiene molto. Di Sergio Marchionne che giocava a carte sapevo, sedendosi a tavoli con alcuni sinistrati un po’ come me. Ma mi sono fatto l’idea che a Tavares non importi niente delle carte, anche se si comporta come un giocatore di poker. Cip, buio, piatto. Bluff, dice qualcuno.
Tavares ha fatto sapere a tutti alla fine di luglio che, mentre noi andavamo al mare, lui avrebbe passato un periodo negli Stati Uniti a lavorare. Ha fatto bene, perché da lì oggi vengono i guai maggiori per Stellantis, dopo un utile netto di gruppo giù del 48% nel primo semestre di quest’anno. E’ come se negli Usa avesse perso più di una mano pur avendo un poker d’assi, dove per altro si gioca con 52 carte, a differenza dell’Europa. Anche qui arrivano nuvole nere un po’ per tutti, ma questa è un’altra storia.
Tavares sembra seduto al tavolo verde nell’ora della notte fonda, quando le cose o girano o non se ne esce più. Il problema più grave non è che Stellantis perde soldi in Nordamerica, ma che li perde in quella che è la cassaforte del gruppo, eredità di Marchionne di Fca portata in dote nella fusione con Psa.
Un po’ di pallottoliere: nel primo semestre 2024, il risultato operativo rettificato (il principale indicatore economico sulla salute di una azienda) di Stellantis in Nordamerica è crollato del 46% rispetto allo stesso periodo del 2023. Una discesa impressionante: nell’euforia del post Covid, quando tutti i costruttori hanno fatto soldi a palate e i concessionari vendevano a prezzi stellari, nel primo semestre del 2023 il risultato operativo rettificato si era chiuso a +4%. Nel primo semestre del 2022 era a +47, nell’intero 2021 addirittura a +85%, con uno spettacolare margine del 16,5 manco fosse Porsche.
Brutti numeri, ma contro Tavares non ricordo a memoria attacchi così virulenti ad personam nel mondo dell’auto come quelli in corso. Ci manca solo che qualcuno lo sfotta come ad Alberto Sordi, “america’, facce Tarzan!”…
Il j’accuse. “We did not create this problem, the federal government did not create this problem, the UAW did non create this problem, and your employees did not create this problem, you created this problem”, si legge in una durissima lettera aperta del National Dealer Council, l’associazione dei concessionari nordamericani che gli chiedono un faccia a faccia per il 15 ottobre ad Auburn Hills, quartier generale di Stellantis. Perché? Nel 2023, rimproverano a Tavares, hai badato al profitto per gli azionisti e al tuo compenso da record, ma non agli effetti sul mercato e sui nostri marchi di scelte a breve termine, e così “that disaster has arrived”.
Shawn Fain, presidente di Uaw, il sindacato cui sono iscritti 43mila lavoratori di Stellantis sparsi in 19 fabbriche e pronto a un clamoroso sciopero, non è da meno contro l’ad di Stellantis: il mercato “isn’t the problem” ,”we’re here to save this company from themselves”.
Tavares ha cambiato in corsa il capo delle operazioni nordamericane, spostando dal Sudamerica Antonio Filosa, ingegnere napoletano che ha fatto miracoli nella storia di Fiat, quando il Brasile a sua volta faceva da cassaforte al gruppo italiano se le cose andavano male altrove. Con Filosa, a cascata ci sono state nuove nomine fra i manager. Ma chissà se un americano per marchi americani sarebbe stato meglio. A suo tempo, il portoghese Tavares fece faville alla guida di Nissan Usa, tant’è che Carlos Ghosn lo chiamò a Parigi come suo vice. Oggi gli servirebbe almeno una scala colore per ripartire.