Ho letto, come i miei colleghi di Carblogger, del “big bang” Alfa Romeo al Super Bowl, e non posso fare a meno di collegare questa notizia ad un’altra che riguarda Fiat Chrysler, vale a dire la recente decisione di nominare 380 concessionari per incrementare le vendite negli Usa.
Non entro in merito alla strategia commerciale, ma ritengo sia una mossa quantomeno tardiva, dal momento che mancano solo 23 mesi alla fatidica scadenza del piano quinquennale, siamo alla vigilia del lancio della Giulia e del nuovo suv Stelvio, e a questo punto tutto dovrebbe essere pronto per massimizzare il ritorno sugli investimenti. Non ultimo quello fatto sul Super Bowl (5 milioni di dollari per ciascun spot da 30 secondi, esclusi i costi di produzione, anche se nel 2011 Fiat Chrysler ne aveva spesi oltre 12 per lo spot con Eminem sulla Chrysler 200, nel frattempo uscita di produzione).
Decidere adesso di aumentare il “selling power”, provocando reazioni negative da parte della rete che invece dovrebbe essere fortemente motivata, appare un’iniziativa dettata più dall’ansia di raggiungere a tutti i costi gli obiettivi a breve che da una logica di business.
A maggior ragione se le nuove nomine vanno contro le raccomandazioni di Urban Science, il più autorevole consulente a livello globale delle case automobilistiche quando si tratta di valutare la “viability” dei nuovi concessionari, secondo il quale “data do not support these additional points“.
Inoltre ciò avviene quando la domanda, pur mantenendosi ad un livello superiore ai 17 milioni annui, sembra ormai aver raggiunto il suo picco nonostante gli incentivi continuino a salire (circa 3.600 dollari a veicolo). La performance del gruppo fatica a tenere il passo col mercato: da mesi le vendite Fiat Chrysler negli Usa sono in diminuzione, così come la quota di mercato, che nell’ultimo trimestre del 2016 è scesa dal 13.6% al 12%; un trend che è continuato anche a gennaio, con tutti i marchi, ad esclusione di Ram e Alfa Romeo (che tuttavia ha immatricolato appena un centinaio di unità), in calo rispetto allo scorso anno. Perfino Jeep (-6.9%), da cui dipende il destino di Fiat Chrysler.
Aumentare le vendite stimolando la concorrenza interna è una vecchia pratica, assai diffusa anche in Italia nei decenni scorsi, che si riteneva definitivamente superata, visti i disastri che ha provocato. La stessa Fiat Chrysler, ultima tra tutte le Case a rendersi conto della necessità di una ristrutturazione, nel recente passato ha ridotto di circa un terzo il numero dei contratti di concessione, e negli ultimi due anni, con un mercato in crescita, ha aumentato di oltre 150mila unità i volumi.
Questi stanno alla frutta.
Gli americani ancora non li hanno multati perchè sanno che ad andarci di mezzo sarebbero pure le galline dalle uova d’oro Jeep e Ram.
Ma quasi sicuramente stanno cercando il modo di liberarsi dell’orpello europeo senza troppi traumi.