Si fa industria dell’auto? O si fa politica sull’auto? Dubbio poco amletico in Italia: la domanda giusta è la seconda. A giudicare dai titoli che mi arrivano ogni giorno sul telefonino via Google siamo di fronte a un bombardamento su Stellantis come non si vedeva dai tempi della guerra del 2010 fra Marchionne e la Fiom sul “modello Pomigliano”.

Tutto fa brodo. Valanghe di articoli sulla lite giudiziaria nella famiglia Elkann tutti intorno al tema dell’evasione fiscale, indigesto ai lettori di Repubblica di cui John Elkann è editore. La Volkswagen che supera le vendite di dicembre di Stellantis (come ha detto un importante ministro facendo finta di ignorare che Volkswagen in realtà aveva superato il marchio Fiat). La nuova ondata di cassa-integrazione a Mirafiori presentata come l’abbandono dell’auto italiana a favore della Francia. Il morto nella fabbrica di Pratola Serra declinato dal direttore di destra di un TG Rai attraverso una durissima dichiarazione di un sindacalista di sinistra che addebitava l’incidente direttamente a Stellantis senza citare la manutenzione.

Persino l’annuncio di Tavares di massicci investimenti in Brasile per quasi 6 miliardi di euro fino al 2030 tradotti così su un sito semisconosciuto ma citato sui social come fonte: “Stellantis, il Brasile preferito all’Italia, scatta l’ira degli operai”. Infine il governo che per settimane fa fuoco e fiamme su tutto e il suo contrario (ingresso nel capitale di Stellantis, si al  secondo produttore straniero, subito un milione di veicoli, Stellantis è francese ma non lasci l’Italia) mentre nel frattempo non partono gli incentivi sull’elettrico per i consumatori italiani.

Che dire? Ai tempi dello scontro fra Sergio Marchionne e gran parte dell’establishment italiano qualcuno parlò di “disfiattismo”, ovvero di un profondo umore anti-Fiat dovuto a mille fattori: il tifo anti-Juve; il disprezzo per la grande industria “socializzatrice delle perdite”; la rivolta contro le élites cosmopolite; la caduta economica verticale di Torino. Un cocktail miscelato con ingredienti talvolta incompatibili fra loro come il provincialismo, il sovranismo e l’anti-capitalismo statalista eppure largamente condiviso da un’opinione pubblica poco informata e non incline ad ascoltare le ragioni dell’industria.

Nello scontro di queste settimane (è eccessivo parlare di “campagna”?) c’è qualcosa di più rispetto ai tempi di Marchionne: a dar retta ad alcuni spin doctors contrapporsi a una multinazionale come Stellantis e presentarla come “francese” e “nemica” genera indirettamente consensi elettorali. Non solo a destra.

Già. Ma l’azienda? L’Italia rappresenta neanche il 10% delle vendite globali e poco meno del 15% della produzione mondiale del colosso italo-franco-americano con sede in Olanda. Poca roba soprattutto sul piano degli utili che sono concentrati in Usa, Brasile e Spagna (in quest’ultimo Paese, e non in Francia, Stellantis produce più che altrove). Eppure Tavares ha cercato di difendersi. Ha abbandonato subito i discorsi realistici sul pericolo di chiusura di Pomigliano e Mirafiori per passare all’italica tattica del muro di gomma sulla possibilità di “assemblare un milione di pezzi entro il 2030”.

L’ufficio stampa di Torino ha fatto sapere che il 63% della produzione italiana di auto è destinata all’export. La Panda a Pomigliano ha guadagnato un altro anno di produzione al 2027. E persino sul cruscotto della nuova Lancia Y prodotta in Spagna è stampata la parola Torino per curare un minimo di rapporto col territorio. Infine è dell’altro giorno l’annuncio dell’arrivo nel 2025 della nuova Stelvio a Cassino e per luglio è stata confermata la produzione della nuova DS8 a Melfi.

Dove conduce tanto attivismo? L’ultimo Marchionne era disamorato dell’Italia. Per ridurre i debiti, dopo Giulia e Stelvio il manager italo-canadese aveva fermato i massicci investimenti sull’Alfa Romeo prelevati dalla montagna di utili generati in Usa da Jeep e Ram. Tavares invece pare attrezzarsi ad una battaglia di più lungo respiro. Destinata quanto meno a superare lo scoglio delle elezioni europee.

@diodatopirone

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