A dispetto dell’indifferenza con la quale i giornali hanno riportato la notizia, la nomina di Michael Keegan a capo della Comunicazione di Fca rappresenta una mezza rivoluzione per Marchionne e il marchionnismo così come l’abbiamo conosciuto finora. Dal 2004 ad oggi mai, né in Fiat né in Chrysler né poi in Fca, Marchionne ha riservato alla Comunicazione aziendale un ruolo così strategico. Keegan, infatti, è uno dei 20 membri del Gec, il Group Executive Council, ovvero  il parlamentino del gruppo che raccoglie i manager più importanti della rete aziendale cui Marchionne dedica moltissimo tempo.

La svolta a 180 gradi è sorprendente perché finora Marchionne ha scientificamente scelto di comprimere la comunicazione aziendale. Una decisione unica nell’industria dell’auto che alla comunicazione, da sempre, dedica risorse di prim’ordine. Ma il manager italo-canadese – come ho scritto in particolare qui – è un fautore di aziende a modello orizzontale, ovvero di strutture a bassa gerarchia e con “pochi” manager destinati a lavorare in gruppo perché vengono loro affidate due o tre missioni che si intersecano con quelle dei colleghi (lo stesso Keegan manterrà il ruolo di coordinatore del Gec).

Il profilo richiesto ai manager nelle aziende orizzontali procura il vantaggio di costringerli a concentrarsi sull’azienda impedendo loro di costruire carriere su cordate e clientele interne. Ma esistono anche “svantaggi”, come ad esempio quello di annullare il peso specifico dell’alta burocrazia aziendale che non ha autonomia esterna. In altre parole il profilo comunicativo dell’azienda “snella” finisce per coincidere solo con quello del suo capo e questo ne asciuga una quota di ricchezza culturale e professionale.

Non a caso quando Marchionne era “solo” amministratore delegato di Fiat, la battuta che circolava al Lingotto era la seguente: la comunicazione di Marchionne, giusta o sbagliata che sia, è vulcanica mentre quella della Fiat è evanescente. Era una novità amarissima. La Grande Burocrazia Fiat, infatti, sia ai tempi di Valletta ma soprattutto con l’Avvocato e Romiti ha sempre coltivato un robusto rapporto dialettico con gli italiani. Chi non ricorda figure come quelle di Cesare Annibaldi, Carlo Callieri, Maurizio Magnabosco o, più recentemente, di Paolo Rebaudengo. Tutta gente che ha marchiato a colpi di scalpello il nostro mondo del lavoro e che per decenni ha rappresentato agli italiani le ragioni dell’industria.

Con Marchionne questo filone dialettico si è spento perché Fiat, sgusciando via dal sistema Italia, ha abbandonato anche il suo tradizionale ruolo di rappresentante dinamica dell’industria e della borghesia italiana. “La Fiat investe in Italia ma non ne siamo prigionieri”, spiegò Marchionne nel gennaio 2010 lanciando lo spin off dell’allora Fiat Industrial che segnò lo smantellamento del kombinat Fiat così come si era agglomerato nel corso di un secolo. Ora, multinazionale e orizzontale, che bisogno aveva la Fiat di comunicare in profondità con l’opinione pubblica? Una soluzione così estrema che lo stesso Marchionne più volte ne è stato danneggiato.

Il 10 ottobre del 2012, ad esempio, una agenzia di stampa addebitò a Marchionne la seguente frase: “Renzi? E’ il sindaco di una povera e piccola città”. Sarebbe bastata una rapida smentita e uno scatto del sistema di relazioni pubbliche dell’azienda per impedire la nascita di un polverone di polemiche. Invece il manager scelse la strada della denuncia penale e un tribunale gli diede ragione solo venticinque mesi dopo. Per non parlare della valanga di fango che ha subito il piano Fabbrica Italia e il successivo accordo di Pomigliano.

Cosa ci azzecca tutto questo con Keegan? Beh. In questo post, Francesco Paternò ha riportato alcuni dei giudizi durissimi su Fca apparsi recentemente sulla stampa americana a dispetto della crescita del 25% del titolo a Wall Street. Negli anni scorsi Fiat in qualche modo si è abituata ad essere trattata “male” dalla stampa e soprattutto dai talk show italiani. Ma la rinascita della Chrysler aveva consentito a Marchionne di avere generalmente un’ottima stampa negli Stati Uniti. Poi qualcosa si è rotto. I massicci investimenti per l’Alfa Romeo hanno suscitato molte perplessità fra analisti e giornalisti specializzati americani. Poi le avances verso Gm sono apparse ai più goffe e incomprensibili. Infine il gran parlare di improbabili offerte cinesi per un marchio orgogliosamente yankee come Jeep ha alienato a Fca la simpatia di riviste importanti come Automotive News e persino di giornali importanti come il Wall Street Journal o strategici sul piano locale come il DetroitNews.

A suonare il campanello d’allarme è infine la possibile condanna per la vicenda dei motori diesel importati dall’Italia sui quali l’agenzia dell’ambiente americana ha aperto un’inchiesta che potrebbe sfociare in una multa salata. Pare che a Keegan fosse stato dato l’incarico di trovare un uomo-comunicazione in grado di riallacciare i rapporti fra Fca e la stampa Usa. Poi invece è toccato proprio a lui il lancio (per ora con paracadute) su una frontiera insidiosa e in parte sconosciuta allo stesso Ceo. La scelta di Marchionne è per certi versi paradossale: Keegan non ha nessuna esperienza di comunicazione ma ha il vantaggio di conoscere ogni angolo di Chrysler dove dal 1990 ha lavorato in quasi tutti i settori, dalla finanza alla supply chain alle risorse umane. Ma ad Auburn Hills pare non sia molto invidiato.

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