All’Automotive Dealer Day 2015 due grandi fili conduttori hanno legato gli interventi degli speaker principali: la consumer experience dal digitale alla concessionaria – che dovrebbe diventare sempre più seamless, ossia omogenea e senza soluzione di continuità – e il rapporto complesso (e a tratti impari) tra concessionari italiani e case automobilistiche.

Dopo anni di profondo rosso, la maggior parte dei concessionari fatica ancora a trovare la redditività, ma nonostante questo proprio a loro si richiede lo sforzo economico e culturale di essere sempre più social, connessi, interattivi. Bisogna poi rendere Internet, non un dipartimento a sé del marketing e delle vendite, ma qualcosa di fondante nelle competenze di ogni singolo venditore, affinché l’esperienza del cliente sia personalizzata e in grado di rispondere sempre meglio alle nuove aspettative che le multinazionali come Apple, Amazon, Starbucks e compagnia hanno diffuso nel pubblico.

Migliorare l’accoglienza e l’esperienza d’acquisto del cliente, bilanciando target di breve termine sempre più faticosi con la necessità nel lungo di ottenere la fiducia del consumatore (Jared Hamilton di DrivingSales dixit), è un obiettivo ambizioso, che può essere realizzato solo con il giusto appoggio delle case e con una mente libera, non condizionata dalla paura di “non farcela ad arrivare a fine mese”. La stessa tensione tra necessità contingenti ed evoluzione si replica, in un certo senso, tra concessionario e singolo venditore, con il primo che chiede al secondo di migliorare sia le vendite, che il trattamento del cliente, pur in una situazione che vede la condizione lavorativa dei venditori sempre più precaria e legata ai risultati a corto raggio.

L’importanza della consumer experience ci sta, ma l’enfasi sulla seamlessness (l’ironia è voluta) del digitale mi sembra un po’ eccessiva quando considero un paio di dati: secondo Hamilton, oltre il 60 dei clienti ha il primo contratto con i rivenditori recandosi fisicamente in concessionaria. Se si guardano le immatricolazioni di auto nuove in Italia per fasce d’età mostrate dall’Unrae all’assemblea Federauto, invece, si nota che nel 2005 il 54,3 percento degli acquirenti aveva meno di 45 anni, mentre oggi la quota è scesa al 39,2. Nello stesso periodo gli over 56 (che di Apple, Amazon e Starbucks fanno largamente a meno) sono saliti dal 24,3 per cento al 35.

Cosa vuol dire? Non che i millennials non sono più interessati all’auto: da poco-più-che-millennial posso dire che ai giovani le auto piacciono e interessano, eccome, ma con stipendi che spesso sono una frazione di quelli dei genitori, l’auto nuova non è certo una priorità, né una possibilità. Vuol dire, piuttosto, che invece di ritenere la digitalizzazione come unico obiettivo, sarebbe più utile concentrarsi su una cosa semplice ma non banale: la cura del cliente. Buona educazione tra persone, insomma.

Commenti
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    E se, al posto di parlare di “cura del cliente” provassimo semplicemente ad averne rispetto? Esempio: non amo per ragioni politiche Caprotti. Ma ogni volta – pur rara – che metto piede all’Esselunga trovo il prodotto che mi serve, a un prezzo corretto, con coda ragionevole all’uscita, personale cortese alla cassa. E quando ho avuto un problema con un prodotto, me l’hanno rimborsato senza battere ciglio.
    Vorrei trovare lo stesso quando compro l’auto. Niente di più. I recall, gli inviti in concessionaria, le offertone, i gadget, la customer experience sono folclore.
    Tre anni fa ho comprato la mia attuale auto (della quale sono più che soddisfatto) come chilometro zero da un commerciante che non vedrò più in vita mia (è dall’altra parte d’Italia) ma onesto e corretto. Oggi la casa offre la mia auto (nuova e MY2015) allo stesso prezzo cui io l’ho pagata allora come km 0. E ogni volta che faccio un tagliando devo affrontare un’officina che lavora bene, ma in un ambiente sovraffollato, la cui disorganizzazione è disperante.
    Domanda: questa customer experience da chi dipende? E sto parlando di un costruttore tra i 5 top al mondo.

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    Caro Gianluigi,

    grazie del commento e di aver portato la tua “consumer experience” sul tavolo del discorso. Il tuo esempio è perfettamente calzante e dimostra quanto sia importante, prima o mentre si affrontano le nuove sfide digitali, non dimenticare le peculiarità della distribuzione automobilistica e dell’esperienza d’uso e manutenzione di un’auto. Oltre e insieme al digitale, c’è l’esperienza fisica dell’acquisto/gestione e questa va tenuta comunque al centro di tutto, perché il digitale può avvicinare case e concessionarie al cliente, ma poi la persona-cliente va trattata in un certo modo, se non si vuole rendere vano l’avvicinamento.

    Un caro saluto,
    Andrea Fiorello

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