Brexit è il nome pop dato al voto di giovedì 23 con cui i cittadini britannici decideranno se tenere il paese dentro o fuori l’Unione europea. Nel 1992 ero a Maastricht dove l’opting out inglese pesò come un macigno fino alla fine sulla nascita della nuova Unione, in quella lunga notte. Brexit è anche sangue, dopo l’uccisione della deputata laburista giovedì scorso a Londra, proprio mentre nella poco distante Roundhouse – teatro e sala concerti – il gruppo Bmw celebrava i suoi concept Mini e Rolls Royce dei prossimi cent’anni, Vision Next 100.
Brexit, avete una exit strategy, ho chiesto a Londra a Ian Robertson, inglese delle Midlands a capo di vendite e marketing del gruppo Bmw? “Non c’è un piano B”, come dire abbiamo tre stabilimenti in Inghilterra più la sede della Rolls Royce a Goodwood, e qui resteremo.
Brexit, che farete con i vostri trattori prodotti di Cnh, è stato chiesto il giorno seguente a Sergio Marchionne? “Porto tutto in Austria”, ha risposto il boss di Fca a Venezia. Lui ha un piano B, ma è molto più facile averlo rispetto a Bmw, come rispetto ad altre forti presenze industriali di multinazionali di nome Nissan, Honda, Ford, Gm.
La verità è che non esiste una exit strategy alla Brexit. E ce ne è solo una negli Usa a Donald Trump, il candidato repubblicano che vuole il Made in Usa e non il Nafta. “Creerà problemi”, dice più o meno sempre Marchionne da Venezia. Trump ha già litigato con la Ford per lo stesso motivo, via Obama che ne sarà della luna di miele con Detroit? In Michigan ha pure vinto Bernie Sanders, non Hillary Clinton.