Viviamo nell’era della digitalizzazione e degli studi parcellizzati di qualsiasi tipo di informazione. Elaborazioni che prendono spunto da milioni di dati che, assemblati nel modo più consono allo scopo, consentono di avere indicazioni fondamentali per sviluppare qualsiasi decisione. È sulla base di questa premessa che sono nati i computer, i telefoni cellulari, le mappe satellitari e nasceranno, si dice ormai nel giro di un solo lustro, le vetture a guida autonoma, già in questi giorni oggetto di accanita sperimentazione da parte dei colossi dell’informatica e dell’automobile.

Vale la pena, allora, fare una ricognizione anche nel mondo dello sport per capire come la rivoluzione digitale abbattutasi sul mondo contemporaneo influisca nella gestione delle varie discipline. Partendo da quelle più diffuse negli Stati Uniti, baseball, basket e football americano, da sempre avvezze all’utilizzo di queste informazioni.

Sì, perché quanto a statistiche su battute, fuori campo, strike, tiri da fuori, rimbalzi sotto canestro, percentuali di realizzazione e passaggi vincenti, gli sport made in the Usa hanno fatto da antesignani per tutti gli altri. L’atletica, con gli studi sul corpo dei praticanti, la reazione agli sforzi e i risultati giocati sul filo dei centesimi, ha potuto raffinare, nel corso del tempo, metodiche di allenamento e prestazioni assolute. Nel tennis, chi non ricorda con nostalgia le colte divagazioni di stampo storico ed estetico di Gianni Clerici accompagnate dalle statistiche riportate a memoria da Rino Tommasi nelle epiche finali di Wimbledon?

Il mondo del calcio, invece, per riluttanza atavica alle innovazioni (è pur sempre uno sport nato nella vecchia Inghilterra) solo di recente ha convertito le sue attenzioni verso il mondo dei big data. Si, perché qualcuno si è accorto che anche giocatori e partite posso essere spacchettate e interpretate attraverso la lettura sistematica dei dati: passaggi riusciti, palle perse, riconquistate, zone di maggior accadimento delle azioni, precisione dei tiri, chilometri percorsi, velocità media, capacità muscolari di velocità e resistenza, propensione agli infortuni.

Mentre in passato i cosiddetti talent scout visionavano i giocatori e se ne facevano un’opinione basata sull’osservazione empirica e sulla sensibilità individuale maturata nel corso di anni di lavoro, oggi è possibile, almeno nella prima fase di selezione delle risorse, farsi guidare dalle tabelle di analisi proposte da società specializzate. Serve un centrocampista di contrasto? Vado a scegliere i migliori per chilometri percorsi e contrasti vinti. Cerco un falso nueve (quelli che, un tempo, erano più semplicemente dei centravanti di manovra)? Vado a comporre una short list di ragazzi veloci, con buone percentuali di passaggi riusciti e un campo d’azione  col baricentro sulla tre quarti campo avversaria. Voglio prevenire un infortunio? Valuto le tabelle dei valori fisici dei test effettuati sui giocatori durante gli allenamenti per dare un turno di riposo a chi risulta meno brillante del solito.

Insomma, una rivoluzione culturale che, partita nei campionati stranieri, è arrivata anche in Italia e influenza le scelte di un numero crescente di società sportive e addetti ai lavori. A testimonianza del fatto che, dalla guida autonoma all’individuazione di un nuovo talento, l’elaborazione dei big data è sempre più determinante nella vita di tutti i giorni.

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