Narrasi da più di un anno che Marchionne ed Elkann non andrebbero più d’amore e d’accordo come un tempo. Dicerie, che riguarderebero le mani strette di Marchionne sul volante della Ferrari e le bacchettate ricevute dal manager in pubblico e in privato dai no Gm e Psa ad avances di fusione con Fca. Senza contare che altri potenziali partner di nome Mazda, Mitsubishi e Suzuki si stanno rapidamente accasando altrove. Narrazioni malevole, ai tempi di sì e di no più importanti come quelli prossimi sul referendum costituzionale.

Ricomparendo in pubblico l’altro giorno a Cassino, Marchionne ha dato finalmente una buona notizia: 1.800 assunzioni entro due anni nella fabbrica della rinata Alfa Romeo, sperando come è logico che le vendite del suv Stelvio straccino quelle della Giulia ancora purtroppo poco vista in giro.

Marchionne ha colto l’occasione per un nuovo appoggio a Renzi (lo ha “endorsato”, neologismo spiritoso di un caro amico e collega americanista), schierandosi sul referendum per il sì a fianco del presidente del consiglio.

Narrasi che forse non sapesse de l’Economist – Marchionne è palesemente disinteressato all’editoria, basta vedere Rcs – schierato per il no. Salvo poi leggere su altre pagine del settimanale dei sì, schizofrenia solo apparente dato che sui grandi mezzi d’informazione anglosassoni vige la separazione dei poteri, i commentatori da una parte (anche su piani diversi del palazzo, come al New York Times), i cronisti da un’altra.

Che pure questa storia del no rientri mai nelle supposte nuove relazioni fra Marchionne ed Elkann? Dicerie, messe in giro perché l’erede Agnelli detiene con la cassaforte di famiglia Exor il 43,4% de l’Economist, di cui è azionista di maggioranza e presidente non operativo. Credo solo alla tradizione del sì e del no vigente sotto il tetto dell’Avvocato: “Un Agnelli non può stare più di due mesi all’opposizione”.

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