John Elkann, presidente di Fiat Chrysler e presidente di Exor che poi è la cassaforte della numerosa famiglia Agnelli-Elkann,  in due mosse “si libera” di Fiat Chrysler e acquisisce il controllo del gruppo editoriale Gedi, che significa Repubblica, l’Espresso, molti giornali locali, radio oltre a riprendersi la Stampa e il Secolo XIX. I soldi non gli mancano: fra i dividendi della cessione di Magneti Marelli e il premio legato alla prossima fusione, la Famiglia azionista porta a casa una montagna di denaro. Da questo particolare punto di vista, John è un nuovo eroe.

Ora però dire che Elkann “si libera” dell’auto è soltanto una delle interpretazioni correnti sulla operazione con Psa. Pure fin qui raccontata come matrimonio fra eguali al 50%, Fca sarà minoranza nel consiglio di amministrazione, 5 a 6 con il sesto voto in mano all’amministratore delegato Carlos Tavares che avrà in tasca anche tutte le deleghe operative.

“Il ceo è solo uno strumento per fare cose che accadano”, si è smarcato Tavares  a una domanda sul potere asimmetrico dei francesi nella sua prima intervista ad Automotive News Europe di sabato scorso.  Magari dunque non finirà così, Elkann presidente della nuova società ci mette la faccia e non “si libera” dell’auto. Ma la discussione è aperta e porre interrogativi è buona regola del mestiere.

Paso doble, e oggi Elkann si compra il gruppo Gedi. Un pallino, l’editoria: il suo affare migliore lo aveva già fatto nel 2015 diventando primo azionista del settimanale inglese The Economist, quanto di meglio ci sia su carta in giro per il mondo. Curiosità: la quota di controllo del settimanale inglese in mano a Elkann è del 43,4%, quella di Gedi avuta dai De Benedetti del 43,8%,

La contestualità dei due affari mi ricorda quanto fece un imprenditore che non assomigliava per nulla a Elkann, l’avventuroso americano di origine armena Kirk Kerkorian, che poco più di dieci anni fa vendette di colpo tutte le sue quote in Gm preferendo tornare a investire sui casinò di Las Vegas. Come dire, il gioco d’azzardo è meno rischioso del business delle quattro ruote.

Elkann sembra pensare che il business dell’editoria sia meno rischioso di quello dell’auto, benché nel primo caso i parametri siano fatti non solo di numeri ma di questioni di democrazia e indipendenza. Tuttavia, almeno in Italia, la storia dice che sull’editoria si investe per contare politicamente nel Paese, non per fare affari. Da questo punto di vista, le automobili potrebbero essere soldi buttati, tanto più in tempi di marginalità risibili e di valore continuamente bruciato in borsa.

Oppure la si pensa come Sergio Marchionne, che premeva per disinvestire da Rcs-Corsera, ritenendo sufficiente per il suo business dialogare direttamente con Financial Times, Bloomberg e Wall Street Journal (cioè chi smuove il titolo in Borsa) e puntare a una fusione dell’auto con altri costruttori per poi magari dirigerla.

Per Elkann carta vince: perché avvolge il sasso, come nella morra cinese. “Sottoscriviamo pienamente la battaglia del gruppo editoriale per il progresso”. Sono le sue parole di quattro anni fa nel giorno che salì al potere dell’Economist. Teniamole a memoria.

Commenti
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    Non si riesce mai a capire se questi articoli sono umoristici. John Elkann è talmente bravo che ha venduto la gallina (che non sapeva gestire) per incassare soldi, e per calmare le acque in Italia, visto che qui gli stabilimenti chiuderanno, si compra qualche giornale e qualche radio, da aggiungere a quelli che già ha, per evitare, nei limiti del possibile, noie nell’opinione pubblica. L’ho capito io che sono uno stupido, pensavo che lo capisse anche un gironalista.

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    Molto interessante la tua analisi.
    Anche io penso che tanto “alla pari” non sia, questa fusione … e che il vaso di coccio sia l’Italia. Per onesta’, altrettanto penso che, visto il sempre piu’ limitato impatto dei giornali sull’opinione pubblica, non credo che questo investimento serva a smuovere le coscienze od a creare consenso…. forse come Kerkorian avrebbe dovuto investire sui casino’, anche con i giornali non credo che avra’ chissa’ che margini economici … ma tanto, prima di finire i frutti dei dividenti e dei premi da fusione, ha abbastanza tempo per rendersene conto. Quello che resteranno saranno temo le macerie delle fabbriche italiane visto che il Governo ha altro da pensare e/o si disinteressa della questione. Certo che fra banche, Ilva, aziende decotte od in crisi, dovrebbe forse preoccuparsi dell’eventuale esplosione di Pomigliano e Mirafiori. Altro che business is business.

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