Lo so che cappotto non dovrei nemmeno scriverlo con sto’ caldo, ma oggi nella email mi sono trovato l’ultimo rapporto di McKinsey, forse la più influente società americana di consulenza planetaria, dedicato all’auto elettrica e agli effetti per l’industria di settore. Titolo del report: Can the automotive industry scale fast enough?. Risposta: in breve tempo sarà cappotto dell’elettrico ai motori endotermici se risolvete – industria e governi – i problemi che vi diciamo.

Ora, se non credete alle previsioni di qualsiasi tipo di analista e ne avreste anche diverse buone ragioni, lasciate questo blog. Sennò ignorate i numeri di nicchia del mercato dei veicoli elettrici, le polemiche inutilmente faziose su chi inquina di più o le parole di Tavares ceo di Stellantis – secondo cui una costosa auto elettrica non se la potrà permettere nemmeno la classe media – e state seduti: McKinsey “prevede che la domanda mondiale di veicoli elettrici crescerà di sei volte dal 2021 al 2030, con vendite annuali di unità che passeranno da 6,5 milioni a circa 40 milioni nello stesso periodo”.

Ok, dare i numeri è uno sport facile, anche se in questo caso riflettono (rifletterebbero per chi insiste a restare) una tendenza in atto. Ma nel rapporto mi colpiscono di più alcune motivazioni di questa sterzata sulla mobilità a zero emissioni (qui il report completo per chi ha il kindle scarico o non ha altro da leggere.)

Con l’unica avvertenza che McKinsey non fa beneficienza e non crede a Babbo Natale. E’ un concentrato di poteri che per soldi è in grado di indirizzare i governi su come comportarsi con le aziende e le aziende su come regolarsi con i governi, oltre che dire agli investitori come fare con governi e aziende. In genere sono super professionisti che non contemplano l’esistenza del conflitto di interesse.

Bene. Prendendo in considerazione la media ponderata dei rendimenti totali degli azionisti (TSR), sostanzialmente quanto ritorna per chi ha investito, a un certo punto McKinsey scrive: “Il TSR del settore rimane elevato grazie all’ottimismo sull’aumento dei ricavi provenienti da altre fonti, tra cui quelle legate alle nuove tecnologie e ai servizi. I veicoli elettrici, che attualmente rappresentano una piccola parte dei veicoli venduti, sono a un punto di svolta e sono responsabili di gran parte dell’entusiasmo nei mercati dei capitali”.

“Entusiasmo”. Eppure noi che lavoriamo nel settore ascoltiamo piuttosto mugugni e allarmi. Addirittura McKinsey vede entusiasmo sul mercato (acquirenti della classe media compresa), quando sulla voglia di zero emissioni che orienta l’industria giura: “La domanda dei consumatori è chiara”. Chiaro?

Tra i problemi maggiori all’orizzonte di questo nuovo sol de l’avvenire, McKinsey sottolinea molto la scarsità delle batterie per i veicoli elettrici e la necessità di avere Gigafactory efficienti dove produrle. Assolutamente vero. Poi suggerisce ai governi di darsi una mossa per gli investimenti sulla rete di ricarica e, un po’ con mia sorpresa, chiede all’intera industria di affrontare in anticipo un punto spesso sottovalutato di questo progresso, il lavoro.

“I gestori delle Gigafactory – si legge nel rapporto – possono evitare alcuni problemi ricorrenti grazie a una maggiore selezione di talenti nel settore delle costruzioni, idealmente durante la fase di pianificazione del sito o prima. Le posizioni più difficili da ricoprire, come quelle relative alla manodopera artigianale elettrica o meccanica, necessitano di maggiore attenzione”. Come dire: investite prima e bene sulla formazione.

E ancora: “Per ridurre al minimo i problemi di manodopera, i produttori di celle devono considerare tutte le fasi compresa la selezione del sito, la costruzione e la formazione dei processi. Con una domanda di batterie destinata ad accelerare, i produttori di celle dovrebbero anche pensare alle loro future esigenze di personale mentre conducono attività di R&S volte a far progredire la produzione di celle di prossima generazione. Il settore cambia così velocemente e la tecnologia delle batterie avanza così rapidamente che le aziende devono essere agili nell’adattare i loro sforzi di reclutamento e formazione”.

Un altro mondo. Chissà se qualcuno lo vede in questa Italia in campagna elettoral balneare.

@fpatfpat

Commenti
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    Lo so, lo so, sono un troglodita ed un neanderthaliano, ma io tutto questo entusiasmo “americano” non lo vedo, mi sembra molto indotto dalla lobby dell’elettrico “by the way”. Anche la stessa America dovrebbe pensare alla sua Rusty belt di fabbriche dell’auto che andranno fatalmente in rovina, prima di concedersi con tanta leggerezza ai ragazzotti californiani in scarpe da tennis con le loro tesla vitaminizzate di ioni… E comunque mi tengo i miei magici cilindri (a diesel!) sperando nei carburanti sintetici come in tempo di guerra e nella razionalita’ terra terra di chi in questo mondo termico ci lavora e ci vive e cerca di trovare delle soluzioni ragionevoli al puzzle ecologia vs mobilita’. E non segue sogni multicolor… (In ogni caso il documentone mc k. me lo sono scaricato, per punirmi della mia arretratezza).

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    Questi non fanno previsioni. Individuano interessi e fanno lobbying sui governi (che non ne capiscono nulla) per farle prevalere.

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    Timidamente osservo che 1) Le elettriche piacciono molto e chi le compra raramente torna all’endotermico; 2) Le Case sanno che una volta superata la difficoltà principale – peso, costo e ingombro delle batterie – la produzione degli EV sarà snella e ad alto margine (Tesla margina già oggi intorno al 15%); 3) I posti di lavoro che si perdono nel settore dei componenti tradizionali si recupereranno in gran parte nella produzione/riutilizzo/riciclo dei battery pack e servizi connessi e 4) Questa è un’occasione per migliorare l’ambiente (se la sostenibilità è costosa, le cronache ci dicono che lo stravolgimento dell’ecosistema lo è ancor di più) e riqualificare persone e lavoratori in un colpo solo

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