La prima volta che m’imbattei in una Polestar lo ricordo bene: marzo 2018. Ero al Salone di Ginevra e, su uno stand formato fazzoletto, mi apparve una Polestar 1 bianca. Ibrida plug-in da 600 cavalli, una coupé due porte affilata ed elegante che non assomigliava a nulla di ciò che era in giro. Passaporto cinese, famiglia svedese, bellezza da miss Universo. L’esordio, dopo una prima presentazione al Salone di Shanghai l’anno precedente.
Già perenne innamorato di Ginevra come Lancillotto, mi innamorai anche di Polestar. Tornato a casa, cominciai a studiare per scoprire che l’amministrare delegato era diventato addirittura il capo del design di Volvo, Thomas Ingenlath. Un designer che guida un marchio di auto, ma quando mai? Un unicum nel mondo. E infatti l’anno seguente, sempre a Ginevra, ero lì appeso davanti alla Polestar 2, splendida berlina due volumi e mezzo come non si usava più. Roba da controcultura beat, per tempi da suvvizzazione imperante.
Polestar guidata da un designer, quanto mi affascinava l’idea in una industria che in genere non scarta. Ero innamorato ma tuttavia non cieco quando, nel giugno del 2023, Polestar – passata armi e bagagli al solo elettrico – sbarcò al Nasdaq. Una scommessa perduta, per adesso: nel giro di un anno, il titolo ha perso quasi l’80% del suo valore, mentre vendite e risultati sono andati giù fino a echeggiare un rischio di estinzione per il marchio. Nel terzo trimestre di quest’anno, le consegne sono scese di un altro 15% nonostante l’arrivo di nuovi prodotti, Polestar 3 e 4 (suv, per altro).
Il caso Polestar è l’elettrico che non tira? E’ la bellezza che non salva più nessuno? Fatto sta che il 27 agosto scorso, Thomas Ingenlath, il mio idolo che non ho mai incontrato, è costretto a dimettersi e lascia l’azienda. E chi mette al suo posto Li Shufu, il patron del gruppo Geely cui il marchio appartiene, un top manager che in passato si dilettava anche da poeta? Nuovo numero uno dall’1ottobre è Michael Lohscheller, ex ceo di Opel dal 2017 al 2021.
Alla Polestar bella e impossibile, Lohscheller sta a Ingenlath come la ragioneria sta all’arte. I due condividono soltanto il passaporto tedesco. Per dire, mentre Ingenlath presentava in Cina la Polestar 1, Lohscheller nel 2017 riceveva da Carlos Tavares, boss di Psa che aveva appena acquisito da Gm una Opel macchina da soldi a perdere, l’ordine di non fare prigionieri. E risanare risanare risanare.
A Polestar ha la stessa missione, complicata dal tutto elettrico del marchio che di questi tempi non aiuta. Va detto che Lohscheller fece bene alla Opel il suo lavoro, anche se dopo la fusione in Stellantis di Psa e Fca per lui non fu trovato una poltrona. Alla Polestar bella e impossibile immagino cambierà subito l’ordine: possibile, eventualmente bella.
Ora, non è che in una industria complessa come quella dell’auto si va avanti con la bellezza in testa. Però, se questo fosse un segno del nuovo corso, il capo designer di Polestar Maximilian Missoni ha mollato subito dopo la dipartita di Ingenlath. Magari è venuto un dubbio pure a lui, e nel dubbio se ne è andato alla Bmw. E io che faccio, che non esiste nemmeno più il Salone di Ginevra?
Caro Francesco, secondo me, se avesse proseguito sulla linea dell’ibrido con un pochino di termico in pancia, non avrebbe fatto questa fine… Da vecchio proprietario di una meravigliosa Volvo S80 turbo a benzina comprata felicemente nell’anno 2000, anche io avevo notato la grande bellezza delle Polestar ma sono fuggito dall’elettrico (per conservatorismo, paura del nuovo, chissa’?). Se vuole rialzare la china il nuovo CEO dovrebbe, secondo me, ritornare sulle scelte fatte “tutto spina” , perche’ di sola bellezza non si vive ma chi apprezza la bellezza spende, solo se trova anche l’utilita’ piena, in un mondo dell’automotive che appare non ancora del tutto pronto alle rivoluzioni.