Green deal, Donald Trump lo vuole morto a casa sua. Non dico sarà: potrebbe essere. Green deal è omnicomprensivo, e se pensate alla mobilità elettrica siete serviti: “Il Green è un imbroglio, lasceremo che la gente compri le auto che vuole”, sono le parole di Trump che hanno eccitato non pochi in Europa. Alcuni dei quali credono che, grazie alla spinta del presidente americano, il nostro Green deal – portatore sano del divieto di vendita in Europa di auto con motore endotermico dal 2035 – sarà messo da parte. Ne dubito, nonostante l’incognita delle elezioni in Germania. Oltre a sperare che sarebbe meglio non farsi del male.

Green deal, Trump lo vuole morto e intanto colpisce con dazi Messico, Canada, Cina. Prossima fermata Europa, definita “unfair, very unfair” (della Germania diceva nel precedente mandato “bad, very bad“). Dazi come divide et impera e onda d’urto contro l’intero nostro sistema, con effetti interni all’economia statunitense sui quali gli analisti si stanno strappando i capelli per capire dove si andrà a parare.

Se negli Usa il presidente abbandonasse davvero il Green deal, significherebbe svuotare il programma pubblico plurimiliardario di investimenti nelle energie verdi (Inflation reduction act, deciso da Joe Biden nell’agosto 2022), con danni pesanti in prima battuta agli stati guidati dai repubblicani, ai quali finora è andato l’85% degli investimenti del settore privato. Come sono in mano ai repubblicani nove dei primi dieci distretti per nuovi investimenti in tecnologie pulite, con ricadute importanti sui posti di lavoro. Tornare indietro sul Green deal significherebbe anche lasciare andare alla deriva lo sviluppo di tecnologie per l’energia pulita. E ritrovarsi un sistema obsoleto e inadatto a una domanda globale di questa tecnologia, su cui la Cina sta correndo.

Il Green deal d’Europa è meno sofisticato, assai poco finanziato e molto contrastato, soprattutto alla voce divieto auto endotermiche 2035. All’ombra del trumpismo, si chiede di cancellare o almeno rinviare questa voce.

Il Green deal è un pacchetto non divisibile, che per il governo d’Europa è diventato una bandiera. Più la Commissione è politicamente fragile, con l’asse franco-tedesca a gambe all’aria, più vi si aggrappa con la sua presidentessa e fa capire di non voler tornare indietro. Cedere oggi sarebbe un ulteriore segnale di debolezza nei confronti di un Trump armato fino ai dazi. Senza contare gli effetti collaterali sullo sviluppo di tecnologie che servono al nostro domani e sulla faticosa rincorsa alla concorrenza cinese. Invece di arrendersi, Trump ci farà scattare orgoglio e istinto di sopravvivenza? Meglio sognare un”Europa “campione del clima”, come dice con una qualche suggestione l’amministratore delegato di Renault Luca de Meo in una intervista a L’Espresso. Politique d’abord.

Temo che auto 2035 e Green deal d’Europa rischino nell’immediato più per le elezioni tedesche di febbraio che per Trump. La Cdu, schierata a marcia indietro contro il divieto 2035 nonostante sia il partito di Ursula von der Leyen, l’altro giorno ha sdoganato a Berlino i nazisti di Afd su un voto contro l’immigrazione. L’estrema destra tedesca, come quella francese e italiana a partire dalla premier Giorgia Meloni (già stampella della von der Leyen) e del resto d’Europa, è contro il Green deal e la mobilità elettrica. Elon Musk, socio di Trump di “estrema destra” secondo il noto bolscevico Bill Gates, ci sguazza in questa galassia nera. Una forte crescita elettorale di Afd potrebbe arrivare a spostare domani i fragili equilibri di Bruxelles?

In questi stessi giorni, l’Europa del Green deal sta trattando con l’industria dell’auto per evitare a un pilastro economico del continente sanzioni miliardarie per ritardi sulla riduzione delle emissioni di CO2. Parola chiave “flessibilità”, che dovrebbe tradursi in quote e slittamenti, in cambio nessun rinvio per adesso del divieto 2035. La Commissione non perderebbe né faccia né bandiera, l’industria non pagherebbe.

Il Green deal d’Europa ha bisogno di soldi che non ci sono, come quelli che l’industria chiede per incentivi europei e non nazionali all’acquisto di auto elettriche. Qui l’effetto Trump potrebbe pesare molto. Se anche la Commissione trovasse un accordo su nuove voci di spesa, i soldi finirebbero sul Green deal o piuttosto sulla difesa, considerata la prima emergenza? Oltre ai dazi, Trump minaccia gli alleati europei della Nato affinché dedichino il 5% del Pil alle spese militari, quando la maggior parte (tra cui l’Italia) fa fatica ad arrivare al 2%, soglia stabilita decenni fa e non rispettata. E’ vero che la difesa rimane competenza nazionale su dove mettere i soldi, mentre è europea sulla spesa per l’industria. Ma i bilanci fanno acqua, dall’Italia alla Francia passando alla Germania addirittura in recessione, mentre il rapporto Draghi sulla competitività è finito in archivio. Una situazione, per dirla alla Trump, davvero “bad, very bad”.

@fpatfpat

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