Sparare sulla Nissan, per quanto è malmessa oggi, è come sparare sulla Croce rossa, e dunque non si fa. Anche se l’allarme sugli utili del 24 aprile per l’anno fiscale appena chiuso indica una perdita di 5,3 miliardi di dollari, quasi dieci volte più del previsto soltanto a febbraio, nel precedente profit warning. E dopo un crollo degli utili di circa il 90% fra aprile e dicembre 2024, più l’annuncio di 9.000 licenziamenti.
“Revenue is vanity. Profit is sanity. Cash is reality”, dicono quelli bravi. Una catastrofe, semplifico, che però mi fa però tornare ai fasti Nissan di vent’anni fa, aprile 2005. Quando sono stato invitato in Giappone dal costruttore a seguire il ceo Carlos Ghosn per una settimana, prima che l’1 maggio tornasse a Parigi da neo imperatore dell’Alliance Renault-Nissan. Ero l’unico giornalista italiano (lì per l’Espresso), insieme a una collega tedesca, uno inglese e uno spagnolo, riflessi dei principali mercati europei. Ma non è stata una barzelletta, anche perché mancavano i colleghi francesi, lasciati malignamente a casa loro ad aspettarlo.
A gestire la nuova catastrofe Nissan dall’1 aprile è stato nominato, per me a sorpresa, Ivan Espinosa. Dico nuova, perché la precedente è stata ancora più grave. Anno 1999, la piccola Renault di Louis Schweitzer acquisisce il controllo del colosso jap sull’orlo della bancarotta con 13 miliardi di dollari di buco e manda Ghosn a fare piazza pulita. Uno straniero a capo di un simbolo industriale del Giappone, mai successo prima. Un gaijin, come viene chiamato lo straniero in termini un po’ sprezzanti. Salverà la Nissan, sarà pioniere dell’elettrico, farà diventare l’Alliance il primo costruttore mondiale nel 2017, sarà fatto fuori dai manager giapponesi e arrestato a Tokyo nel novembre del 2018.
Al di là dei suoi delitti e delle pene, après lui le déluge. Alla Nissan si autonomina un top management giapponese, cose un po’ da samurai con fede nella sola katana. Va via più di un gajin. Danni sparsi, come il contributo Nissan a Renault, che passa da 1,5 miliardi di euro nell’ultimo anno di Ghosn, ai 211 milioni del 2024, più di 8 miliardi in un decennio. Ma questo adesso è il minimo.
Nel novembre scorso, il Financial Times scrive che il destino dell’azienda è incredibilmente a rischio, “abbiamo 12 o 14 mesi per sopravvivere”, dichiara al giornale un dirigente Nissan che resta anonimo. A febbraio, la fusione ipotizzata con Honda per la creazione del “terzo costruttore mondiale” si scioglie al sol levante appena in Nissan capiscono che solo Honda avrebbe avuto le mani sul volante. Mentre in casa Renault vola troppo presto qualche tappo di champagne, pensando di chiudere comodamente il matrimonio in crisi, grazie allo spasimante Honda. Eppoi arriva Donald Trump, con i suoi strappi protezionistici a mettere in bilico la macchina di profitti che il mercato nordamericano rappresenta ancora per Nissan (e non solo, basta dare una occhiata ai bilanci di Honda, Stellantis, Toyota o di costruttori minori come Subaru). L’altro giorno Reuters scriveva di 200.000 Nissan che sarebbero dovute essere esportate dalla Cina in gran parte negli Stati Uniti e che per ora non partono più.
E’ drammatico che il primo atto del ceo di Nissan sia stato il profit warning del 24 aprile. Motivo ufficiale: il piano di risanamento per rimettere la barca sopra la linea di galleggiamento costerà più di quanto preventivato. Nel comunicato della multinazionale si addossano le cause anche ad “other factors”, un modo soft per non dare per esempio nome e cognome ai danni da dazi dell’amministrazione Trump. A leggere i risultati del terzo trimestre, i grossi guai di Nissan – segnalati da un flusso di cassa negativo dell’auto di quasi 507 miliardi di yen (circa 3,5 miliardi di dollari), a fronte di numeri stabili o in crescita su investimenti e ricerca e sviluppo – stanno nella qualità di vendita e nei costi di produzione. La prima da migliorare con prodotti più desiderabili sui mercati, i secondi da tagliare in modo draconiano. Anche perché, se non ci si riuscisse, l’attuale solida posizione di cassa verrebbe rapidamente divorata.
Ivan Espinosa ha preso il posto di Makoto Uchida, al volante dal gennaio del 2020 dopo l’esordio di Hiroto Saikawa, con i risultati che sappiamo. Messicano, 46 anni, giovane per gli standard giapponesi ma non per i samurai di Yokohama, considerando che Ghosn arrivò al vertice a 45 anni e Uchida a 44, Espinosa ce l’ha fatta perché è nato e cresciuto in Nissan negli ultimi 22 anni. Operando in più settori e paesi e naturalmente anche in Giappone, dove qualcuno se lo ricorda ancora quando in qualche locale notturno suonava un po’ di tutto, e bene la batteria. Servirà molto, del resto, uno capace di dare un altro ritmo.
La notizia è che in Nissan è tornato al vertice un gaijin. Nonostante Ghosn e nonostante Espinosa sia cresciuto proprio a fianco di Ghosn. Così come, nei cambiamenti della prima linea di management, Espinosa ha fatto fuori diversi top manager giapponesi e ha aumentato potere e influenza di altri gaijin come Guillaume Cartier e Jeremy Papin, a suo tempo stretti collaboratori di Ghosn (Papin è stato il suo braccio destro nel portare Mitsubishi dentro Nissan nel 2016, per dire).
Visti da lontano, mi sembra che in Nissan finanza e vendita siano nelle mani di stranieri, tecnologia in mani giapponesi, con Espinosa dedicato in particolare al taglio dei costi di sviluppo. E, semmai certe relazioni come con Honda ripartissero (lo spasimante aveva posto la cacciata di Uchida come condizioni per tornare a parlarsi), pronto un giorno anche a vendere.
Ma non è male che Nissan sia stata affidata agli eredi gaijin di Ghosn, perseverando in un modello di globalizzazione nonostante si leggano fiumi di parole sulla fine della globalizzazione. Ghosn è stato un monarca assoluto, ma uno dei suoi insegnamenti è stata proprio la contaminazione culturale, lì dove ha governato. “La competitività – mi spiegò una volta – è basata innanzitutto sull’innovazione. E una delle fonti principali dell’innovazione è il matrimonio delle differenze”.
Quale che sia la verità storica per l’ex imperatore, su X, dove dal suo esilio dorato in Libano spara a zero un giorno sì e uno no contro Nissan, Ghosn non ha scritto nemmeno una riga su Espinosa e compagni. E questo è un fatto.