I samurai sono imbattibili, così dice la loro leggenda millenaria. Per l’abilità con la Katana e per la forza psicologica con la quale sfruttano le debolezze dell’avversario. Per la loro formazione: Musashi diventò il più celebre samurai dopo aver subito una pesante sconfitta in battaglia da ragazzo. Mai più.

Nissan e Suzuki sono i nuovi samurai che hanno fatto a fette i loro nemici stranieri. Pure fortissimi, eroi in patria e nel resto del mondo. Ma sconfitti in Giappone.

Uno era Carlos Ghosn, imperatore dell’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi, finito in manette appena sceso dall’aereo all’aeroporto di Haneda il 19 novembre scorso su accuse di malversazione procurate alla giustizia ordinaria dai suoi dipendenti Nissan. Che lui avrebbe voluto tenere sotto scacco, anzi trasferire in una fusione delle società con comando definitivo a Parigi. Colpo di Katana impugnata a due mani. Qualcuno direbbe: buttando via le chiavi della cella nel penitenziario di Tokyo.

Un altro era Martin Winterkorn, imperatore del gruppo Volkswagen fino a tre anni fa, quando lo scandalo del dieselgate scoppiato in settembre non lo travolse. Ma già alla fine di agosto, Winterkorn era stato fatto fuori dai giapponesi.

Nel gennaio del 2010, Winterkorn aveva comprato per 1,7 miliardi di dollari il 19,9% di azioni Suzuki dall’omonimo Osama Suzuki. Matrimonio finito ancora prima di cominciare nel settembre del 2011, quando Suzuki porta Volkswagen presso un tribunale londinese per un arbitrato che ponesse fine all’intesa. Alla fine di agosto del 2015, la corte dà ragione a Suzuki e obbliga Volkswagen a rivendere la quota al partner o “a terza parte” concordata con il partner.

L’accusa originaria: i tedeschi vogliono fare i padroni a casa dei giapponesi. Colpo di Katana impugnata a due mani per Winterkorn. Come per Ghosn.

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