“Renault potrebbe scomparire”, dice scioccante il ministro francese dell’economia Bruno Le Maire, uno che sa di che si parla essendo lo stato azionista del costruttore con una quota del 15%. Per il salvataggio, è in arrivo un prestito dalle banche garantito dalla mano pubblica per 5 miliardi. E se servisse, parola sempre di ministro, anche una nuova nazionalizzazione del gruppo storicamente considerato “vetrina di Francia” al contrario della privata Peugeot. La quale nel frattempo è diventata Psa e partecipata dallo stato anch’essa alla fine del 2013 per il 14%, evitando così la bancarotta (oggi siamo al 12%).
Renault mi ricorda il gioco della torre: chi butteresti giù fra le mani statali?
Il colbertismo seicentesco non è mai morto a Parigi, ma l’idea che i governi mettano una mano (o due) sul volante dell’industria dell’auto potrebbe rivelarsi una tendenza in tempi di Covid-19. A fronte di una crisi senza precedenti come la pandemia, ecco misure con precedenti ma fuori dal comune. Per salvare capra (l’auto) e cavoli (posti di lavoro e pil).
Nel 2009 l’amministrazione Obama fu accusata di “socialismo” per essere entrata nel capitale della Gm per il 60% e in quello di Chrysler per il 12%. I due gruppi sopravvissero così.
In Europa, oggi in ballo potrebbe non esserci solo Renault, direi troppo grande per la storia di Francia per non essere salvata.
Fiat Chrysler ha chiesto un prestito da 6,3 miliardi a banca Intesa con la garanzia del governo, finalizzato alle sue attività italiane. La questione ha sollevato polemiche e domande legittime. Una fra tutte: la legge prevede che il prestito si possa fare, ma allora non sarebbe meglio che lo stato entrasse in Fca per controllare da vicino la sua garanzia, tanto più che il gruppo italo-americano sta per fondersi con Psa?
Il fatto inedito è che a sostenerlo sia stato non solo il segretario della Cgil Maurizio Landini ma anche un economista liberal come Francesco Giavazzi con un messaggio a John Elkann: “Se il problema è la liquidità glieli dia la casa madre. Se è la solvibilità lo Stato entri nel capitale”.
In effetti, al 31 marzo il gruppo dichiarava 18,6 miliardi di cassa. Mentre l’ad Mike Manley aggiungeva che nel secondo trimestre di quest’anno le cose andranno peggio che nel primo, quando Fca ha bruciato 5 miliardi. E se diventassero forse 6 a giugno? Poco meno della cifra del prestito richiesto con garanzia pubblica, sarebbe una terribile coincidenza. La strana coppia Landini-Giavazzi ha ragioni da vendere.
Il colbertismo all’italiana non esiste, però anche in Germania non scherzano se l’industria dell’auto nazionale è considerata strategica – al pari della difesa o dell’aerospaziale – nel piano 2030 presentato l’anno scorso dal ministro dell’economia, che prevede l’intervento statale contro eventuali take over stranieri. Non è proprio una mano sul volante, ma una mano pronta a scacciare altre mani dal volante. E un segnale che a Berlino sono pronti a tutto, nell’auto o come appena avvenuto con il salvataggio pubblico di Lufthansa.
Insomma, protezionismo, statalismo di ritorno, interessi nazionali: che altro di assolutamente scioccante potremmo ancora incontrare sulla nostra strada oltre a un virus mai visto, a una Germania rigorista che ora si scopre pronta a mutualizzare il debito perfino con l’Italia o una Cina comunista e pianificatrice che improvvisamente si scopre incapace di scrivere l’obiettivo di crescita 2020 per mancanza di visibilità?
[…] Renault dunque sopravviverà. Ma fino a quando da sola? E gli altri? […]