Il titolo FCA, Fiat Chrysler Automobiles, debutta lunedì 13 ottobre a Wall Street. Chrysler torna in borsa dopo 16 anni, allora il titolo si chiamava DCX, DaimlerChrysler: la terza big di Detroit è stata comprata oggi da Fiat come allora da Daimler, ma il trillo della campanella del Nyse alle 16 (Sergio Marchionne la suonerà in chiusura perché si tratta di un esordio, non di una Ipo come è stata quattro anni fa per Gm) avrà tutta un’altra musica.

Perché FCA è un’azienda americana e Chrysler torna a essere una delle tre di Detroit su cui gli investitori Usa sono chiamati a puntare come ai vecchi tempi. Marchionne ha promesso un porta a porta da dopodomani negli Stati Uniti con a fianco il capo della finanza Chrysler (o FCA) Richard Palmer. Ha la sua storia da raccontare,  perché il nuovo titolo sia il più appetitoso possibile.

Mi si obietta come possa essere americana FCA, se è vero che Fiat abbia comprato Chrysler, che l’azionista di riferimento del nuovo soggetto sia la famiglia italiana Agnelli-Elkann, che la nuova società nata dalla fusione sia stata disegnata come una multinazionale, con quartier generale e sede fiscale a Londra e sede legale ad Amsterdam.

FCA è americana perché 1) già oggi il 60% degli utili di gruppo vengono dal solo Nordamerica, e comunque Fiat sarebbe in rosso senza gli utili di Chrysler; 2) la quotazione a Wall Street è primaria e qui Fiat venderà le sue azioni proprie, mentre Milano è secondaria; 3)  gli occupati di Chrysler sono passati dal 2009 a oggi da 32.000 a 55.000, quelli di Fiat sono per la maggior parte ancora in cassa integrazione; 4) il gruppo è debole in Cina, perde in Europa, sta subendo come tutti la crisi del Brasile, guadagna soldi a palate in Nordamerica grazie soprattutto ai marchi Jeep, Ram e Dodge (oltre alla componentistica di Mopar); 5) i criteri di contabilità sono adesso quelli americani e le comunicazioni avverranno in dollari.

La pensano così  diversi analisti, alcuni me lo hanno detto in forma anonima nei giorni scorsi (ne ho scritto a lungo su pagina99we in edicola fino a venerdì 17), altri lo hanno messo nero su bianco come Stuart Pearson di Exane  Bnp Paribas.  Altri ancora come Richard Hilgert, di Morningstar Inc’s, pensano addirittura che un investitore medio possa addirittura fare confusione su un titolo quotato a Wall Street e la testa – almeno formalmente – a Londra. Molti dicono anche che il momento di andare in borsa è sbagliato. Va dritto per dritto il giornale di casa, il Detroit News: “Comincia un nuovo capitolo per il gruppo Chrysler, adesso parte del costruttore italiano Fiat”.

Oppure prendiamo sul serio Marchionne. Piaccia o non piaccia e capacità linguistica a parte, è un vero manager americano per cultura, per sensibilità e per pragmatismo tipicamente anglosassone: se serve pagare meno tasse è svizzero, se serve vendere l’italianità di Maserati non cambia certo bandiera al Tridente. Ma per lui – e direi giustamente – l’importante è fare soldi lì dove c’è la possibilità oggi di farli. Indovinate dove. Il resto – piano industriale, Alfa Romeo, etc – è ancora tutto da fare. Mentre sulle sue capacità di fare finanza, visto come è andata finora, sarei pronto a mettere la mano sul fuoco.

 

Commenti

    […] condivido il giudizio di Francesco Paternò sulla natura americana di FCA espresso in questo post, anche se lo trovo non gratuito e apprezzabile per schiettezza, contrariamente a certe conversioni […]

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