Qual è l’elemento di connessione che inopinatamente lega la Volkswagen Golf, Peyton Manning e Francesco Totti? Per chi non li conosce a fondo, un giro veloce su Wikipiedia aiuta a capire che si tratta dell’età: la Golf è stata lanciata nel 1974, Manning e Totti sono entrambi del 1976. Insomma, si tratta di tre splendidi quarantenni che affrontano il futuro da diverse prospettive.
Per uno sportivo professionista che ha percorso una carriera di successo, il momento dell’abbandono dell’attività è sempre traumatico: si tratta di chiudere una lunga parentesi della propria vita, molto probabilmente quella migliore, e di provare a reinventarsi in un altro ruolo, magari contiguo al campo di gioco ma non più da protagonista. E’ una specie di lutto che va elaborato e non tutti lo gestiscono allo stesso modo.
Peyton Manning, il più anziano quarterback della storia ad aver vinto un Super Bowl (evento avvenuto nella stagione appena conclusa all’età di 39 anni), ha deciso pochi giorni fa di ritirarsi dall’attività agonistica. Manning è riuscito a collezionare un altro invidiabile primato, quello di essere il giocatore di football americano ad aver guadagnato di più nella storia della NFL.
Ma in questo momento, sotto la luce dei riflettori nostrani, è l’addio al calcio di Francesco Totti che alimenta le discussioni di addetti ai lavori, tifosi ed ex calciatori: smetterà a fine stagione? Vorrà provare a giocare un altro anno? La società e l’allenatore cosa ne pensano? Poteva farlo prima senza trascinare agli sgoccioli una storia sportiva luminosa? Tutte domande che incuriosiscono il pubblico e danno materiale di consumo ai media.
Riflessioni che, per certi versi, possono adattarsi anche al mondo automobilistico per quelle vetture che, avendo avuto maggior successo commerciale, tendono a rimanere sul mercato oltre quello che gli analisti di marketing considerano il ciclo di vita naturale di un prodotto. Anche qui, ognuna con le sue peculiarità e un ultimo capitolo diverso da modello a modello. Abbiamo parlato qualche tempo fa della Trabant, scomparsa dai cicli produttivi quasi all’improvviso dopo la caduta del muro di Berlino e mai più rivisitata dopo decenni di incontrastata presenza sui mercati dell’est europeo.
Al contrario, rimanendo sempre in territorio teutonico, l’immarcescibile Golf è regina delle vendite da oltre quarant’anni, nonostante il tempo e le esigenze di linee estetiche sempre più omogenee, perché destinate ai mercati di tutto il mondo, le abbiano fatto perdere l’originalità affascinante che ne ha costruito il mito.
Perché la Golf e, più in generale, le auto più longeve del mercato riescono a sopportare meglio il passare degli anni rispetto a sportivi di professione che spesso a quarant’anni hanno già abbandonato da tempo l’attività? Il segreto è racchiuso in due formule: innovazione e brand. Con i continui upgrade tecnologici a cui le auto vanno soggette, la possibilità di un’eterna giovinezza non è più una chimera irraggiungibile. Una sorta di doping, assolutamente lecito, che consente a qualunque auto di successo di potersi replicare teoricamente all’infinito.
E, forse ancor più che l’innovazione, il brand: un modello che è riuscito a garantirsi una decina d’anni di buoni risultati, diventa una garanzia di quei valori che ne hanno determinato l’affermazione anche se, per ipotesi, di quei valori non sia più permeato. Agli sportivi le innovazioni legate alle metodologie di allenamento e alla scienza dell’alimentazione, se pedissequamente osservate, possono garantire un prolungamento del periodo agonistico di due, tre anni. Il valore del brand, sul campo, dopo una certa età viene cancellato dagli inconvenienti derivanti da performance complessivamente inferiori.
Più saggio, allora, sapersi fermare nel momento giusto, per poter investire al meglio il valore del proprio brand in quella seconda vita lavorativa che a nessuno è dato di poter sfuggire.