Marchionne sta mantenendo la promessa di piena occupazione nelle fabbriche italiane entro il 2018. A Melfi, oltre alla produzione di Fiat 500X e Jeep Renegade che volano sui mercati, sulla terza linea al posto delle Fiat Grande Punto è costruita adesso la Fiat 500 cinque porte: il nuovo segmento B del marchio italiano, tanto atteso e finalmente competitivo. C’è la fila fuori, come per la Tesla Model 3 presentata questa notte da Elon Musk.

Marchionne ha poi trasformato Mirafiori. Ex cattedrale nel deserto, la più grande fabbrica di auto d’Europa gira ora a pieno ritmo, Grazie alle richieste della Maserati Levante superiori alle attese (in particolare sui mercati della Cina e degli Stati Uniti), e grazie al nuovo suv Alfa Romeo, che ha cambiato le regole del gioco nel segmento premium dominato fin qui dai tedeschi.

Marchionne non ha chiuso il vecchio stabilimento Maserati a Modena, come si era temuto fino a poco tempo fa, ma lo sta ammodernando in vista di nuove produzioni. Mentre Cassino è diventato centrale nella strategia di Fiat Chrysler, da dove l’Alfa Romeo Giulia si appresta a scalzare il dominio Audi nel segmento delle berline in Europa e a insidiare la leadership mondiale Bmw.

Marchionne ha reso Pomigliano Panda-dipendente, ma nello stabilimento campano è atteso un nuovo modello di volumi che presto affiancherà la piccola italiana. “L’auto spinge la ripresa”, ha detto il premier Matteo Renzi, costringendo l’agenzia di rating Standard&Poor’s a rivedere le sue previsioni al ribasso per il Pil italiano per il 2016, portato per quest’anno a 1,1 dall’1,3.

Questo è un pesce d’aprile. Ma al contrario di chi li inventa per scherzo: tutto questo è quanto Marchionne potrebbe avere intenzione di fare e che vorremmo facesse davvero. Perché se così non fosse, i primi a pagare gli errori dei manager sarebbero i lavoratori. E non c’è niente da ridere.

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