Innovazione? Il settore automobilistico è una delle industrie “tradizionali” più legate alla tecnologia. I numeri precisi sono ovviamente segreti, ma, stando alle cifre riportate in questo studio, è possibile affermare che i primi dieci costruttori hanno speso, nel 2015, circa 69 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Se tale cifra fosse il Pil di un paese, si troverebbe al 69° posto assoluto, davanti al Lussemburgo.
Sicuramente queste ingenti risorse servono più che adeguatamente il loro scopo: abbiamo auto che mantengono da sole velocità e distanza di sicurezza, leggono ad alta voce i messaggi che arrivano sui nostri telefoni per non distrarci, ci massaggiano per lenire l’affaticamento dopo ore al volante. Qualcuno (e non è difficile immaginare chi) offre persino una macchina per fare il caffè, appositamente progettata per l’uso in automobile. E non sto parlando di costose ammiraglie, queste sono funzioni oramai onnipresenti già a partire dal segmento C, ultimamente disponibili anche su vetture del segmento B.
Di fronte a questo mare di innovazione, vicende come quelle rese note negli ultimi tempi lasciano un po’ l’amaro in bocca.
E’ risaputo che molte case continuano ad usare, negli immobilizer un algoritmo di cifratura chiamato Hitag2, risalente agli anni ‘90 ed altamente vulnerabile con le tecnologie odierne. La novità degli ultimi giorni, riguardante il gruppo Volkswagen, pare essere una troppo libertina gestione delle chiavi di cifratura utilizzate nei loro sistemi: dei ricercatori hanno scoperto che, con quattro “master key”, estratte dalle centraline di diversi modelli di veicoli, si è in grado di violare quasi tutti i modelli prodotti dal gruppo Volkswagen negli ultimi ventuno anni (incluse Audi e Skoda). Il tutto intercettando un singolo segnale del telecomando, per poi calcolare una chiave di apertura nel giro di un minuto, attraverso dispositivi che possono essere costruiti con poche decine di euro di componenti.
Una bella grana, data l’impossibilità di rimediare (non basterebbe un aggiornamento software, stile Dieselgate, bisognerebbe sostituire le componenti elettroniche di centraline e chiavi in circa 100 milioni di veicoli). Per questo, quando qualche anno fa vennero rese note le prime debolezze dell’algoritmo, Volkswagen aveva provato la via della “security through obscurity“, facendo causa ai ricercatori per impedirgli di pubblicare quanto scoperto. Inutile dire che questa via, come ampiamente dimostrato da tempo, può nel migliore dei casi fungere solo da palliativo, in attesa che qualche malintenzionato ripeta la scoperta.
I ricercatori si sono concentrati solo su uno dei costruttori che utilizzano quest’algoritmo, ma non crediate che gli altri siano immuni da simili falle. Nel saggio originale del 2012, ad esempio, si legge che un modello di veicolo francese ha la propria chiave di cifratura non protetta da lettura, alla mercé di malintenzionati.
Questo è ciò che accade quando si limita l’innovazione, decidendo di investire in motori dalle migliori prestazioni e sistemi di infotainmenti più elaborati, trascurando altre parti del veicolo dimenticate dal marketing o dai legislatori.
Certo, la maggioranza dei nuovi veicoli, come la Volkswagen Golf VII, utilizzano sistemi più recenti che sono ancora sicuri, e si potrebbe azzardare che finalmente l’innovazione è stata applicata anche a campi più nascosti. I tentativi di rendere le auto sempre più simili a computer mostrano come i malintenzionati siano in grado di sfruttare le falle di questi sistemi. In Texas, due persone sono state arrestate per aver rubato, negli ultimi sei mesi, 30 Jeep, il tutto utilizzando un computer portatile. E a livello federale si sta indagando su più di un centinaio di casi simili.
Le Case devono capire che i malandrini, spesso con poche risorse, ma tanta dedizione, prima o poi riescono ad essere un passo avanti. E’ ora di dedicare parte del corposo tesoretto speso in R&D per fare in modo che queste cose accadano molto, molto più di rado.
Il mondo dell’auto è stagno, corrotto e falso. Ma per fortuna grazie a Tesla, Apple, Google ed Uber tutto cambierà. E i costruttori tradizionali, servi del petrolio, pian piano spariranno come Nokia e Motorola hanno fatto nella telefonia.
I “classici” costruttori sono tecnicamente morti, amici del petrolio, innovazione prossima allo zero, solo capaci di fare concept car assurde (vedi ultima Mercedes elettrica). Ma per fortuna tra poco tutto cambierà grazie a Tesla, Apple, Google e Uber (e altre che seguiranno queste aziende). Gli altri sono destinati a sparire e visto come si comportano, posseggo un Audi afflitta dal dieselgate e dopo quasi un anno non si sa ancora niente, meglio così! Hanno finito di prenderci per i fondelli…
I classici costruttori non sono tecnicamente morti. Certo, questo è il periodo in cui si stanno adeguando e stanno cercando di capire da che parte tira il vento, quindi è normale vedere delle incertezze. Di aziende che si sono rese conto per tempo del cambiamento, e si sono sapute reinventare è pieno il mondo: ad esempio la Nintendo, che è nata facendo carte da gioco per poi passare ai videogame. Personalmente vedo la casistica delle aziende di auto più simile all’IBM di fine anni ’70, che si accorse della rivoluzione portata dai PC e l’ha saputa cavalcare, rimanendo per anni sulla cresta dell’onda. Bisogna anche tener conto che il ciclo di vita di un’auto è più lungo di quello di uno smartphone, pertanto le innovazioni richiedono più tempo per essere evidenti. Ma i cambiamenti ci sono: dieci anni fa l’ibrido sembrava ancora qualcosa di esotico, oggi è qualcosa di economicamente alla portata di tutti. Per non parlare dell’elettrico puro, che ha fatto passi da gigante in questi ultimi anni.
Per quanto riguarda il petrolio, purtroppo ne siamo ancora tutti schiavi. L’unica fonte rinnovabile che, nell’infrastruttura elettrica attuale, può competere con esso da un punto di vista di rendimento, stabilità e costo, sono le centrali idroelettriche (e qua in Italia spesso dimentichiamo quanto siamo fortunati ad averne molte). Sono sicuro che in futuro si raggiungerà l’indipendenza dai carburanti fossili, ma non è ancora universalmente possibile. Di certo il vento sta cambiando anche in questo comparto, e gli arabi se ne sono accorti, come testimonia la volontà di privatizzare l’Aramco, la loro gallina dalle uova d’oro.
E’ sbagliato pensare che cambierà tutto con l’arrivo di queste nuove aziende nel settore: Apple e Google hanno i loro scheletri nell’armadio, quando si tratta di rapporti con i clienti, e non sono pochi. I loro prodotti spesso vengono abbandonati dopo cicli di vita inferiori a quello di un solo modello di auto, e lasciati privi di aggiornamenti di sicurezza. Io possiedo un’auto del 2011, il cui lancio sul mercato risale al tardo 2009. Ha subito un restyling nel 2014, ma sotto è sempre la stessa meccanica, e lo resterà fino all’arrivo del nuovo modello tra più di un anno. Google ha smesso di supportare il Galaxy Nexus, il suo smartphone uscito nel 2011, dopo solo 2 anni e 2 mesi. E non perché non fosse ancora attuale, dato che le community di appassionati hanno continuato per tempo a sviluppare aggiornamenti per esso. Pure Uber non è candida: basti vedere le loro politiche commerciali di alzare il prezzo in automatico in una data zona quando aumenta la richiesta; oppure le varie cause in corso per le condizioni con cui vengono trattati i loro driver, da un punto di vista contrattuale. E di certo Tesla non potrà essere la panacea che cura tutto. In generale, non bisogna dimenticarsi che parliamo di aziende, che seguono tutte simili pratiche commerciali. Se tutte le aziende che non hanno buoni rapporti con i clienti sparissero, non resterebbe molto sul panorama economico. Un’azienda non è un ente di carità: il suo compito è fare soldi per gli azionisti. E funzionano tutte in questo modo, siano vecchie di secoli, decenni o mesi.
Concludo sul Dieselgate: non saprei per quanto riguarda Audi, ma diverse persone che conosco, proprietarie di VW (con motori TDI 1.6 e 2.0), hanno ricevuto mesi fa la lettera con la quale sono stati avvisati di quanto sarebbe stato fatto. Nei giorni scorsi è uscita la notizia che stanno iniziando, almeno in Germania, il richiamo per il 1.2TDI. E’ passato tutto questo tempo anche perché non è affatto facile trovare una soluzione al problema che soddisfi tutti. Negli USA, dove le leggi infrante sono più dure, e la punizione sarà più pesante, è uscito mesi fa il piano di compensazione che dovrebbe iniziare in autunno, dando la possibilità ai proprietari di rivendere l’auto a VW con quotazioni pre-Dieselgate, oppure di farsela riparare e ricevere comunque un pagamento a titolo di rimborso. Quanto fatto da VW, che comunque non è stata l’unica (ha pagato lo scotto di essere stata la prima ad essere beccata, nonché quella ad averlo fatto in modo più elaborato), di certo non si può giustificare. Ma mi pare che stia facendo più di quanto facciano le aziende citate sopra: ad esempio, certi modelli di Macbook avevano un difetto di fabbricazione sul guscio inferiore, che viene sostituito gratuitamente da Apple. Ho fatto richiesta 3 anni fa, compilando il modulo con tutti i dati, e non ho più ricevuto notizie da loro. Qualche mese fa, riordinando vecchi backup, ho trovato la ricevuta d’invio del modulo, che avevo salvato: inserendo il numero nel servizio di assistenza, la pratica viene ancora data come “in elaborazione”. Come dice la saggezza popolare, tutto il mondo è paese: Il consumatore, essendo in fondo alla catena alimentare, verrà sempre preso per i fondelli. E’ una cosa naturale. Sta a lui reagire, scegliendo cosa comprare e, soprattutto, da quale azienda.
Apprezzo molto la tua analisi Riccardo, io ho pre ordinato la Tesla Model 3, risentiamoci tra 2 anni per vedere come si svilupperà il mercato.
Un ultima cosa Riccardo, a parte il tuo episodio sfortunato con Apple, non c’è confronto tra il servizio di queste aziende (vedi anche Samsung che ieri ha attivato un recall immediato sui Note 7) e quelle automobilistiche. In passato con il gruppo Volkswagen ho avuto qualche questione risolta in alcuni casi magicamente con la lettera del mio avvocato (faccio parecchi Km ed ho comprato auto del loro gruppo). Ora mi trovo con la letterina ed una risposta di Audi alla mia recente email, che ti fare i leggere a dir poco ridicola, che mi dicono che sistemeranno tutto in 40 minuti. Ma io ho chiesto di sapere come mai in USA rimborsano fino a credo $5000 o propongono un “buyback” e noi qui niente! La mia prossima auto sarà una Tesla Model 3 purtroppo devo aspettare ancora 2 anni. Ma il gruppo VW non mi vedrà mai più almeno che non concederanno un dovuto rimborso!
Quello di Apple era un esempio, posso citarne di simili, per esperienza diretta o di miei conoscenti, su un sacco di altre aziende del settore elettronico/informatico. Di risposte ridicole (quando si degnano di rispondere!) ci sarebbe da farne una raccolta, e le lettere dell’avvocato spesso non funzionano, a volte non si sa nemmeno a chi mandarla (con tutti i passi tra casa produttrice e venditore finale, pronti a rimpallarsi eventuali accuse). Poi spendere soldi in spese legali per un veicolo da decine di migliaia di euro ha senso, ma per un telefono da centinaia di euro, non molto. Capisco la “questione di principio”, tuttavia nella maggioranza dei casi conviene prendere un altro device ed evitare ulteriori travasi di bile.
Veramente, non cambia molto. Forse danno un’impressione diversa per via dell’approccio moderno e social nel rapporto con i clienti, ma, grattando la superficie, superando i “don’t be evil” ed i “think different”, in fondo son sempre società per azioni.
Il discorso per cui in USA rimborsano e qui no, mi è sempre parso semplice: in USA hanno infranto leggi più serie, qua invece il superamento di quei limiti non è punito altrettanto gravemente. Sia chiaro che tutte le aziende (che fabbrichino auto, computer, elettrodomestici, o pentole), in casi simili, per adeguarsi e correggere la situazione si tengono sui minimi di legge. Magari negli USA han cercato di fare qualcosa di più per non danneggiare irrimediabilmente la loro reputazione, che già non era alta in quel mercato.
Ed i clienti VW sono anche fortunati: qualcosa, sui loro veicoli, sarà fatto. La maggioranza delle altre case, scoperte in modo più o meno pesante ad infrangere le normative, probabilmente se la caverà con un nulla.
Personalmente, e lo dico come “discorso da bar”, non ritenendo di avere sufficiente competenza per fornire consigli a riguardo, se cercassi di ottenere un rimborso in Europa, non perseguirei la strada delle emissioni, quanto quella di un eventuale peggioramento di consumi/prestazioni dovuto alla modifica correttiva. Sono sicuro che qualcuno starà già facendo class action al riguardo, le conviene informarsi ed eventualmente unirsi alla causa.