Clinton o Trump, gli ultimi segnali dicono che l’industria dell’auto americana non se la passa tanto bene. E non perché Trump ha strapazzato in campagna elettorale Bill Ford per le sue fabbriche in Messico o perché Clinton nelle primarie ha perso nell’industrializzata Ohio con Sanders. No, il problema è a monte: dopo sei anni di crescita ininterrotta del mercato dei veicoli che hanno fatto dimenticare la crisi della Grande Depressione (come la chiamano gli americani), un ottobre con vendite a -5,8% dice che il picco è stato raggiunto e che la festa va verso l’alba di un altro giorno.

A Clinton non frega, ma non dite a Trump che gli unici costruttori fra i generalisti ad andare bene in ottobre sono stati i coreani di Hyundai e i giapponesi di Subaru, entrambi con oltre un +4%. Giù le tre di Detroit, a doppia cifra Ford e FiatChrysler, anche se Trump sarebbe capace di gioire lo stesso nel suo populismo nazionalista, visto che gli unici marchi ad andare bene dei gruppi Gm e Fiat Chrysler sono stati i più americani che più americani non si può: Buick e Ram.

Clinton o Trump, comunque vada a loro dell’auto personale non frega (qui un link sui rispettivi garage, si fa per dire). Però è bene che sappiano, anche se hanno fatto sparire l’economia dalla campagna elettorale, che J.D.Power’s ha notato un aumento medio del 12% di sconto alla vendita. Segno che gli americani hanno più bisogno di aiutini per continuare a consumare. Prima che i tassi della Fed salgano, Janet Yellen prima o poi smetterà di limitarsi a un annuncio, Tassi più alti, con Clinton o Trump che sarà.

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