Guida autonoma, tutti i costruttori ne parlano e ci investono, mentre noi consumatori già pensiamo a quando potremo stare in auto e leggere un libro o guardare un film. Ma in questo inizio 2017, Gill Pratt, direttore del Toyota Research Institute, spegne gli entusiasmi (o apre gli occhi) affermando che ci vorrà ancora tempo. Non è la prima volta che lo dice, ma più si avvicina la data del 2020 per la quale alcuni costruttori hanno promesso modelli con guida autonoma al 100%, più le parole di Pratt hanno un peso ancora più importante.
Al Ces di Las Vegas sono state numerose le presentazioni di tecnologie per auto, ma ciò che ha richiamato la mia attenzione sono state proprio le parole di Gill Pratt riguardo il livello cinque di guida autonoma (completamente autonoma): “I need to make it perfectly clear, [Level 5 is] a wonderful, wonderful goal. But none of us in the automobile or IT industries are close to achieving true Level 5 autonomy. We are not even close”.
Parole chiare e decise che non lasciano spazio a fraintendimenti; ma cosa l’ha portato a questa affermazione?
Non si potrà parlare di auto a guida completamente autonoma sul mercato entro breve sostanzialmente tre fattori: la potenza assorbita dai computer, il metodo di apprendimento delle auto robot e l’accettazione delle auto robot a livello sociale. Il primo fattore è la potenza assorbita, cioè il problema per cui i computer chiedono troppa energia per svolgere un’attività.
Per quanto riguarda il secondo fattore, il problema risiede nel fatto che ogni nazione (più nel dettaglio ogni città) ha un suo traffico e come fare per un’auto a destreggiarsi a Roma, Londra come a Tokyo e a New York? Sono due i metodi che si possono utilizzare, quello deduttivo basato sulle regole di un codice di un software; e quello induttivo della machine learning basato sulla raccolta di Big Data per cui da numerose situazioni sovrapponibili emerge la regola.
Utilizzando il secondo metodo, si può apprendere che per le auto robot sia necessario percorrere migliaia di chilometri ma non nelle stesse aree protette altrimenti non impareranno niente di nuovo e, una volta messe in strada, verranno a galla quelle falle che in fase di ricerca e sviluppo non si erano riscontrate; perciò va bene la quantità ma occhio anche alla qualità dei chilometri percorsi.
Il terzo fattore riguarda il nostro comportamento e la capacità di accettazione degli errori in riferimento a chi li commette. A tal proposito è rilevante la ricerca della London School of Economics and Political Science in collaborazione con GoodYear dal titolo Autonomous Vehicles – Negotiating a Place on the Road il cui fine è stato quello di valutare l’apertura e l’accettazione degli automobilisti rispetto agli errori di altri utenti. Da questa ricerca è emerso che gli automobilisti sono più propensi ad accettare gli errori commessi da altri automobilisti piuttosto che da auto robot.
Robot più efficienti e accettazione a livello sociale, ci vuole un equilibrio tra le due parti tenendo sempre presente la prima legge della robotica insegnata da Isaac Asimov: “Un robot non può recar danno a un esser umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.”
[…] al livello 5 è impossibile da implementare con le risorse attuali (come ha appena scritto Giulia nel suo post su Toyota) ma anche l’auto connessa, forse, sarà connessa a singhiozzo perché questo sarà l’unico modo […]