In Spagna è scoppiato un clamoroso nuovo “caso Pomigliano” che merita grande attenzione. I fatti prima di tutto. La Opel, da quasi un anno passata dagli americani di Gm ai francesi di Psa guidata da Carlos Tavares, all’inizio dell’anno ha chiesto ai 5.400 lavoratori della fabbrica di Saragoza, in Spagna, un aumento della produttività del 17,2%.

Una impennata impensabile finora per la fabbrica in Spagna visitata nello scorso ottobre da Tavares che se ne era pubblicamente lamentato sui giornali. Ma indispensabile, secondo il manager franco-portoghese, per assegnare allo stabilimento aragonese la nuova generazione della Opel Corsa che dal 2020 dovrebbe diventare anche ibrida. Alle reazioni stupite dei sindacati iberici e del governo autonomo dell’Aragona, la provincia spagnola il cui  Pil dipende al 25% dalla fabbrica Opel e dai 25.000 occupati dell’indotto, Tavares ha fatto sapere di poter spostare la produzione della Corsa in una fabbrica francese.

La mediazione raggiunta fra Opel e sindacati in fretta e furia la scorsa settimana è spinosa: blocco dei salari per il 2018 e poi recupero al 50% dell’inflazione; riduzione del 5% dei compensi per turni notturni e festivi; riduzione delle pause (mensa compresa) da 40 a 35 minuti compensate da 7,7 ore di permesso all’anno; premi legati alla flessibilità; sabati lavorativi fissi.

In compenso scattano un centinaio di assunzioni e i lavoratori con più di 60 anni lavoreranno all’85%. La produzione dovrebbe salire a oltre 470.000 pezzi contro i 382.425 veicoli sfornati l’anno scorso fra Corsa (196.424), Mokka (68.172); Crossland (62.885), Citroën C3 Aircross (37.034) e  Meriva (17.919).

L’accordo è stato firmato da tre sindacati su cinque e approvato da un referendum che ha visto 2.827 lavoratori votare “si” (58%) e 2.008 scegliere il “no”.

Fin qui le notizie in sintesi. Ma secondo gli osservatori la portata del caso va ben oltre il futuro della fabbrica aragonese. Il fatto è che Opel e Psa, che in Spagna hanno altre due fabbriche a Vigo e a Madrid, rappresentano il 31% della imponente  produzione automobilistica iberica. La Spagna infatti già da qualche anno sforna oltre 2,5 milioni di vetture all’anno ed è saldamente al secondo posto in Europa, dopo la Germania ma ben prima di Francia, Gran Bretagna e Repubblica Ceca che viaggiano intorno a quota 1,5 milioni. L’automotive è diventata la fetta più importante della torta del Pil spagnolo (che cresce da due anni a ritmi superiori al  3%) con una quota superiore al 10% del totale della ricchezza prodotta contro il 6% dell’intera economia europea.

E qui si arriva al nocciolo del “caso Saragoza”. La domanda di fondo è: alla Spagna conviene ancora puntare sulla rete di fabbriche cacciavite? L’Aragona ha improvvisamente scoperto quanto sia rischioso aver messo quasi tutte le sue uova nel paniere della Opel che, con la proprietà francese, ha cambiato politica nella suddivisione del valore aggiunto e nel rapporto con i territori dove sono dislocate le sue unità produttive.

Ma c’è un altro elemento che ha fatto scattare l’allarme rosso fra gli economisti di Madrid. Con l’arrivo delle auto elettrificate e autonome percentuali sempre più alte del valore aggiunto dell’automotive si trasferiranno dagli attuali costruttori a chi fornirà batterie o il software necessario per la guida automatica. E allora quanta quota di ricchezza dell’automotive resterà agli spagnoli?

Commenti

    […] Così poco? mi fa subito un amico, leggendo che alla Daimler e alla Porsche nell’importante Land del Baden-Württemberg, i dipendenti potranno chiedere di lavorare 28 ore alla settimana – invece che 35 – per un tempo che va dai sei mesi ai due anni. L’accordo – che indica una direzione precisa come su un navigatore – è stato sottoscritto dal potente sindacato dei metalmeccanici IG Metall e dalle aziende di settore per 900.000 persone e verrà esteso in Germania ad altri 3,5 milioni di lavoratori. Alla Opel in Spagna, per esempio, la direzione presa dai nuovi proprietari francesi di Psa è stata un&#8…. […]

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