Marchionne ha dunque delineato un futuro elettrificato per Fiat Chrysler e per il marchio Fiat in particolare. Una scelta netta, adatta ai cambiamenti in corso, mettendoci su 9 miliardi di euro, cioè soldi veri. Non ha stupito, perché lo aveva anticipato. Ma per uno che fino all’anno scorso sconsigliava gli americani di comprare la sua Fiat 500 elettrica perché ogni volta ci perdeva 14.000 dollari, è teatro. Dove sappiamo che l’uscita di scena è sempre più difficile che l’entrata. Marchionne ci mancherà molto anche per questo.
Marchionne ha fatto la sua scelta netta nel piano quinquennale 2018-2022, che lui dovrebbe però guidare per sei mesi, al massimo nove, perché ha detto che poi se ne andrà. Operativo un decimo del tempo rispetto ai sessanta mesi del piano: una cosa mai vista (e mal vista) nel business. Chissà in che modo l’azionista avrà abbozzato. Forse lo sapremo più prima che poi.
Nel suo ultimo piano industriale, Marchionne è stato obbligato a dare una risposta elettrificata al futuro di Fiat Chrysler e del marchio italiano in particolare. Per forza e non per amore, ha sottolineato lui stesso: “Given the EU (future emissions) regulations, it is very difficult for mass-market carmakers to be very profitable”.
Perché è la politica a decidere le regole, non l’industria, come succede già da decenni in California. L’industria può solo fare battaglie di retroguardia e provare a rallentare i processi con un occhio miope alle proprie trimestrali, non di più. Vince, perde, ma sono solo battaglie. Non la guerra.
Marchionne ha contestualmente deciso per le auto l’uscita dal diesel entro il 2021 (entro il 2022 aveva fatto sapere nel febbraio scorso al Financial Times), sapendo che i costi di sviluppo di questo motore termico diventeranno presto impossibili di fronte a norme sulle emissioni sempre più stringenti. Poteva decidere prima i suoi investimenti sull’elettrificazione? Sì. Ma ha fatto profitti con altri mezzi.
Marchionne nel 2009 acquisì la Chrysler (il suo capolavoro) promettendo all’amministrazione Obama – in cambio di un sì e di miliardi di prestiti agevolati – che Fiat avrebbe portato in dote al gruppo il suo tesoro di tecnologia di motori termici a minori emissioni. Nove anni dopo, Marchionne promette l’elettrificazione per il gruppo, in ritardo sulla concorrenza e che non sarà lui a fare.
Paradosso, corsi e ricorsi vichiani, scandalo al sole, decidete voi. Comunque un’uscita di scena che vale il biglietto.
Lascia un’azienda coi cassetti vuoti, senza prospettive per il futuro, che sarà il suo successore a dover gestire. Uno dei peggiori manager della storia dell’automobile, abile nell’arte del galleggiare immobile. Non ci mancherà.