Lo abbiamo notato tutti: uno degli effetti più evidenti della pandemia è la profonda virata della pubblicità. Gli addetti ai lavori sostengono che in un momento drammatico e di presa di coscienza collettiva le imprese sono portate a far emergere ciò che i pubblicitari chiamano “purpose aziendale”, ovvero la ragione ultima del suo Dna.
Se nessuna casa automobilistica si è spinta a gettare il cuore oltre l’ostacolo come ha fatto la Lavazza che ha sposato un messaggio solidaristico di sinistra firmato da Charlie Chaplin, vale però la pena soffermarsi su tre spot molto caratterizzati su altrettanti profili aziendali.
Il primo è quello della Mazda che con molto garbo ha lanciato un messaggio di speranza agli italiani ricordando come sia sopravvissuta alla bomba atomica lanciata nel 1945 su Hiroshima. Il secondo è quello di Bmw che ha scelto un testimonial d’eccezione come Alex Zanardi per sottolineare la straordinarietà della sfida.
Ma lo spot che colpisce di più è quello lanciato da Fca durante il concertone televisivo del primo maggio. Quarantacinque secondi davvero particolari per tre ragioni.
La prima: lo spot è stato lanciato nel contesto della Festa del Lavoro, tradizionale appuntamento laburista.Poi c’è il testo: “Credevamo che sarebbero stati i nostri motori a farci ripartire – dice la voce narrante di Luca Ward – ma ci sbagliavamo. Perché il vero motore dell’Italia sono gli italiani”.
Retorica pandemica a parte, spicca l’evidente tentativo di Fca, azienda “americana” o “olandese” o comunque apolide nel racconto di tanti, di riallacciare un rapporto con gli italiani. O almeno di tornare ad accarezzarli dopo i tanti anni di sfide e di rotture collegati alla figura di Sergio Marchionne. Da questo punto di vista va sottolineato con la matita rossa e blu quel “ci sbagliavamo”. Segnale di umiltà, ma anche di forza di un’azienda che fa emergere tutta la sua voglia di voltare pagina nel rapporto con la nazione.
Terza ragione: dopo tanti anni di globalizzazione, la vecchia Fiat torna a sottolineare esplicitamente il suo peso nell’economia nazionale. Lo spot finisce segnalando che Fiat ha 1.500 aziende fornitrici italiane, ben 400 show room sparsi per il Bel Paese e che al di qua delle Alpi produce molti modelli a partire dal fiore all’occhiello della 500 elettrica.
Vedremo se funzionerà. L’autonarrazione italiana di Fca non è improvvisata. Quello del primo maggio è il terzo spot consecutivo di Fiat sull’Italia, il precedente scomodava Francis Ford Coppola per sottolineare l’amore per l’Italia. Per altro, Fca sta giocando un ruolo non indifferente nella battaglia contro il Covid. Ha fornito uomini, fabbriche e tecnologie per produrre ventilatori ed è stata ringraziata pubblicamente (non accadeva da tempo) per aver messo a disposizione suoi spazi, insieme a Luxottica, per la produzione nazionale di mascherine.
Le fabbriche italiane di Fiat poi sono state chiuse senza proteste, sono state riprogettate e sanificate assieme al sindacato, tanto che anche il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha dato atto al Lingotto di un comportamento corretto. E persino Report, punta di diamante del giornalismo puntuto, ha dedicato un’inchiesta sulla cura del personale messa in atto dalla Ferrari.
Comunque li si voglia giudicare, i segnali di svolta nel rapporto fra Fca e gli italiani sono evidenti. E, paradossalmente, l’imminente discesa in campo di uno straniero come Carlos Tavares potrebbe chiudere il cerchio.
“Fca, azienda “americana” o “olandese” o comunque apolide nel racconto di tanti” Non lo è nel racconto di tanti, lo è nella realtà. E’ così e basta. FCA vuole solo mettere le mani sui fondi per la ripartenza, se si interessasse davvero degli italiani riporterebbe qui le sedi fiscale e sociale.