Fare tanti soldi non basta. Carlos Tavares ha presentato un bilancio 2021 di Stellantis con 13,4 miliardi di utili netti e un margine superiore all’11%, eppure – al netto delle follie putiniane – le azioni dell’azienda franco-italo-americana continuano a valere il 40% in meno di quelle di Volkswagen. Che ha un ebit simile, ma solo perché nel suo forziere ci sono gioielli del calibro di Audi e Porsche e la leadership nel ricco mercato cinese. Detto in altri termini: Stellantis è più efficiente di Volkswagen perché fa soldi anche con un portafoglio prodotto composto soprattutto da vetture “normali” e senza il boost cinese. Eppure il mercato non riconosce questa specificità a Tavares.

Perché?  Nell’incontro con gli analisti di mercoledì 23 febbraio, il ceo di Stellantis ha dato la colpa a se stesso. “Non so spiegare bene cosa sia Stellantis e le sue potenzialità”, ha detto.

Possibile, però c’è dell’altro. Nell’auto, per tradizione, se non parli tedesco o giapponese non sei nessuno. Ma il fatto è che il dna di Stellantis ha caratteristiche difficili da mettere a fuoco.

Intanto l’azienda sta viaggiando verso un ambito più tech e meno auto, e già questo passaggio è difficile da comprendere. Ma poi la presentazione dei conti ha fatto emergere due elementi poco considerati finora. Il primo: Stellantis è una federazione di aziende occidentali. Anzi, nel mondo dell’auto è l’unica azienda “atlantica”, poiché è forte sia nelle due Americhe che in Europa.

Gm ha lasciato il mercato europeo, Ford (che in Europa perde una barca di quattrini) ha abbandonato il mercato brasiliano, Volkswagen ha una posizione marginale in Usa ed è molto legata alla Cina. Questo posizionamento non è da sottovalutare.

Nell’incontro con gli analisti, Tavares ha sottolineato che la particolare efficienza di Stellantis è una sorta di servizio che l’azienda farebbe alla classe media, la vera forza dell’Occidente, perché senza una riduzione dei costi in futuro nessuno potrà più comprare le costosissime automobili elettriche e autonome. L’efficienza, la riduzione dei costi, dunque non solo come valorizzazione del capitale ma anche come asset geopolitico. Ma questo particolare valore aggiunto non è ancora nei radar degli investitori.

Un secondo elemento caratteristico di Stellantis è ancora più interessante: la partecipazione agli utili dei lavoratori. Dei 13,4 miliardi messi in cascina l’anno scorso, Tavares ha assegnato il 60% all’azienda, il 25% agli azionisti (3,3 miliardi, il che assicura una rendita netta del 5% circa con titoli a 16 euro) e il 15% circa ai 400.000 dipendenti (1,9 miliardi). In base al monte salari, a ogni lavoratore italiano di Stellantis andranno circa 450 euro lordi. La decisione è stata presa dall’azienda che ha informato i sindacati poco prima della diffusione dei comunicati stampa.

E’ poco? E’ tanto? Intanto va detto che non si tratta di un premio di produzione (pagato a parte sulla base dei contratti di ogni Paese) ma proprio di partecipazione agli utili. Per la tradizione Fiat si tratta di una rivoluzione, meno per quella Peugeot.

Ma su questo punto c’è ancora poca chiarezza. La domanda vera è: se l’azienda punta sulla partecipazione dei lavoratori, un giorno consentirà loro di dire la propria sulla nomina dei dirigenti, come accade in Germania?  E il sindacato che ruolo intende giocare? E’ tutto in alto mare.

In Europa solo durante la prossima estate sarà costituito un comitato di coordinamento continentale fra i sindacati di Stellantis. Né si parla di influenzare le scelte di Tavares (e degli azionisti) con un’azione comune con le Unions americane e quelle brasiliane. Il farraginoso e debole modello plurisindacale italiano e francese, di fatto, si rivela un ostacolo allo spazio d’azione dei lavoratori.

Accade così che la principale azienda italiana compia il salto di qualità della partecipazione agli utili dei suoi dipendenti senza diventare un modello né per il capitale né per il lavoro italiano. E non solo in Italia. Forse anche questa “incertezza” non aiuta la lievitazione del titolo Stellantis.

@diodatopirone

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