Nuova svolta per le fabbriche ex-Fiat a 10 anni di distanza dalla rivoluzione di Sergio Marchionne. Negli ultimi mesi, infatti, i 12 stabilimenti italiani di Stellantis e i loro 45 mila dipendenti hanno abbandonato il sistema produttivo WCM (World Class Manufacturing), di impronta giapponese, in favore di una nuova impostazione delle linee di montaggio racchiusa nello Stellantis Production System (SPS). La nuova cornice produttiva è ispirata alla frugalità, tratto ingegneristico distintivo del patron di Stellantis Carlos Tavares, ma per il suo lancio definitivo occorrerà il nuovo contratto, previsto entro dicembre.

In ogni caso l’addio di Stellantis Italia al WCM è ormai definitivo. Torino sta perfezionando la cessione alla società di consulenza Accenture del ramo d’azienda che si occupava dello sviluppo anche presso i fornitori del sistema produttivo nipponico. Fra Mirafiori e Pomigliano passeranno ad Accenture una trentina di tecnici superspecializzati in tecniche produttive guidati da Luciano Massone.

Un passaggio che è solo il preludio all’ennesimo giro di valzer per le fabbriche italiane del gruppo. Il WCM è noto per la sua sofisticazione (si struttura in ben  20 pilastri) e il coinvolgimento delle maestranze. Il SPS ne mantiene alcune caratteristiche sul fronte dell’ergonomia (ovvero sul contenimento della fatica) e ruota intorno a tre concetti di base: frugalità, eliminazione di ogni fronzolo e costi ridotti all’essenziale.

I due sistemi rispecchiano fasi diverse dell’universo Fiat. Il WCM, infatti, una dozzina d’anni fa fu fortemente voluto da Marchionne e dal suo braccio destro sul fronte del manufacturing, l’ingegner Stefan Ketter che veniva dalla scuola Volkswagen. Il fatto era che le fabbriche Fiat funzionavano male. E così fra il 2005 e il 2012 Marchionne e Ketter ne capovolsero il secolare modo di lavorare di ispirazione militare e molto verticalizzato.

Si passò a stabilimenti con pochi livelli gerarchici  alla cui base c’erano gruppi di lavoro di appena 7 operai coordinati da un team leader a sua volta inquadrato non come capo ma come operaio. Il WCM si sposava col progetto di migliorare la qualità del lavoro in vista del traghettamento degli impianti produttivi italiani dalle utilitarie verso vetture premium e semi premium con i marchi Maserati, Alfa Romeo, Jeep e 500.

Paradossalmente, però, il WCM fu sperimentato per la prima volta nella fabbrica di Pomigliano, a due passi dal Vesuvio, dove Marchionne spostò la produzione della piccola  Panda fino ad allora assemblata in Polonia. Per l’operazione Ketter chiese e ottenne massicci investimenti tecnologici (tutt’oggi la lastratura di Pomigliano resta fra le migliori d’Europa), un nuovo sistema ergonomico che misurava digitalmente la fatica degli operai e l’efficienza dei processi di lavoro  e nuove regole in fabbrica per bloccare i micro-scioperi selvaggi. Ne nacque una gigantesca spaccatura sindacale che determinò poi persino l’uscita della Fiat da Confindustria con l’adozione di un contratto di lavoro aziendale.

Da allora sembra passato un secolo. Dall’arrivo di Tavares (gennaio 2021) i direttori delle fabbriche ex Fiat hanno gradualmente riposto nel cassetto il  WCM e sono stati “dirottati” su una sola missione: ridurre i costi semplificando tutto il semplificabile.

Conti alla mano, infatti, il manager portoghese ha dimostrato a manager e sindacalisti che i costi di produzione italiani erano fuori scala nonostante salari più bassi rispetto alle fabbriche francesi e spagnole del gruppo. Si è iniziato riducendo il livello di pulizia delle fabbriche ma poi sono stati eliminati alcuni pilastri del WCM come il “Cost deployment” che coinvolgeva anche i singoli lavoratori nel calcolo dei costi delle lavorazioni che svolgevano.

A Melfi è stata tagliata una linea produttiva per saturare quella rimanente. Anche i flussi logistici – fondamentali in fabbriche che ricevono fino a 200 tir al giorno di componenti – sono stati asciugati e il personale è stato ridotto di circa 5.000 unità con buonuscite abbondanti. Giorno dopo giorno le fabbriche italiane ex Fiat somigliano sempre di più alle consorelle che sfornano Peugeot, Citroen e Opel in Francia, Germania e Spagna. Del resto è proprio la frugalità che permette a Tavares di sostenere che i costi di produzione delle fabbriche Stellantis sono inferiori “almeno del 30%” a quelli dei concorrenti europei.

Per il passaggio completo allo Stellantis Production System, tuttavia, mancano ancora parecchi tasselli. E’ noto ad esempio che negli stabilimenti francesi e spagnoli i ritmi produttivi sono più alti rispetto a quelli italiani, anche perché le maestranze del Belpaese sono mediamente più anziane e non di poco. Questo punto sarà uno dei nodi più spinosi dell’imminente rinnovo del contratto aziendale.

Stellantis ha già lasciato capire di puntare ad un aumento della produttività in cambio di riconoscimenti salariali. In Francia Tavares ha appena concesso un bonus di 1.400 euro accolto però da alcuni scioperi perché giudicato insufficiente dai sindacati. Fra gli assi nella manica dell’azienda c’è anche un nuovo sistema di premi particolarmente ghiotto perché legato agli utili aziendali assai consistenti in questa fase, visto che nel primo semestre 2022 Stellantis ha annunciato ben 8 miliardi di utili netti sia pure in gran parte concentrati negli Usa.  C’è poi un capitolo delicatissimo: su quali gambe camminerà lo Stellantis Production System? Proprio l’altro giorno uno storico manager delle fabbriche Fiat italiane e sudamericane, Francesco Ciancia, ha annunciato il suo passaggio alla guida dei van della Mercedes.

@diodatopirone

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