Ursula von der Leyen è stata rieletta presidente della Commissione europea come fosse una campionessa di drifting. Ha tirato il freno a mano contro l’estrema destra d’Europa lasciando andare alla deriva solo la Meloni ed è ripartita dritta sul Green Deal, con all’interno il divieto di vendere auto con motori endotermici dal 2035. Touché, come avevo facilmente previsto qui l’11 giugno. Il resto dello spettacolo è stato però inguardabile.
A votare Ursula compatti, i socialdemocratici tedeschi, i centristi francesi e i Verdi, cioè tutti quelli che sono usciti malconci dalle elezioni di giugno. Tra i franchi tiratori, molti del suo partito (il primo nell’urna), quel Ppe guidato da uno che avrebbe voluto farle le scarpe già cinque anni fa e che ora vorrebbe rimettere in discussione il divieto 2035 come un Salvini qualsiasi, dopo averlo votato. Eppoi diciamolo, è tedesca: ha in tasca un passaporto che pesa e non si conta.
Ursula dovrà tuttavia fare un cambio gomme al più presto per il suo nuovo viaggio. La strada è in salita per questa Europa politicamente debole e anche l’auto non sta tanto bene nella transizione. Certo, se lei avesse rinunciato al Green Deal con il corollario del bando delle endotermiche si sarebbe politicamente suicidata il giorno della rielezione. Sa che l’emergenza climatica è ormai tangibile ai più, con eventi estremi quotidiani. Negare l’innegabile è roba da Trump e affini europei (tagliarli fuori per Ursula è stato più facile con il rientro fra i “buoni” della Polonia di Tusk).
Una verità nascosta è che, nel suo drifting, Ursula ha deciso di tirare dritto sul Green Deal e divieto 2035 grazie non solo al voto dei malconci, ma al sostegno della maggioranza silenziosa dei costruttori di automobili. Questi sono i suoi veri alleati, perché sulla transizione verso l’elettrico hanno ormai investito troppi miliardi: “Il treno è partito e non torna indietro” per dirlo con le parole del ceo di Renault e presidente Acea, Luca de Meo. Mancano 11 anni al 2035, il tempo più o meno di un ciclo di un’auto nuova di una volta, adesso meno che due ma siamo lì. In una industria complessa, domani è oggi.
Detto questo, Ursula dimostra di saperci fare anche con il pendolo da rallysta. Una leggera sbandata in direzione opposta della curva – tirando in ballo gli e-fuel che di fatto ancora non esistono ma cari alla sua Germania – poi una sbandatina questa volta nella direzione della curva – tenendo in vita la possibilità di una revisione della data del divieto alla fine del 2026 – e infine una seria controsbandata raddrizzando il muso dell’auto verso il traguardo elettrico 2035.
Fra una manovra e l’altra, a bordo strada rimane qualcuno a tifare per una deroga a nuovi ibridi plug-in che facciano del motore elettrico il principale (ne parlava qui un articolo di Automotive News Europe, chiamati EREVs), con l’autonomia estesa da un secondo motore termico più piccolo. Andavano così un bel po’ di tempo fa la Opel Ampera e la Bmw i3 con l’extender optional, modelli cancellati. Se i suoi veri alleati non s’innervosiscono troppo, potrebbe essere una via di fuga.
Il piccolo extender termico vassallo dell’elettrico sarebbe per altro l’uovo di Colombo, perché già adesso l’ibrido full e plug sono tarati per dare prevalenza al sistema elettrico. Sennò sul 2035 Ursula si ricorderà del primo giorno del suo secondo mandato e tirerà dritto. Questa volta alla Cortés, quello che al contrario di Colombo si bruciò le navi dietro alle spalle.