12 ore di mascherina indossata ininterrottamente per andare a guidare la nuova Toyota Yaris ibrida. Fine luglio, volo a Bruxelles dove, a due passi dall’aeroporto, c’è il quartier generale di Toyota Europe. Mi attende un primo contatto con la berlina di quarta generazione, dopo una terza alla quale il sistema ibrido ha allungato la vita commercialmente parlando: basti pensare che il massimo successo di vendite di Yaris in Italia è stato nel 2018, cioè sei anni dopo il lancio. Una macchina invecchiata bene, come si dice.

La nuova Yaris è invece tutta nuova: pianale, sistema ibrido, motore benzina a tre e non più a quattro cilindri, batteria agli ioni di litio invece che a nichel idruri – una rivoluzione culturale prima che tecnologica, conoscendo l’ossessione degli ingegneri giapponesi per la sicurezza delle batterie – sospensioni e sistemi di sicurezza attiva. Dimensioni uguali, 3,94 metri di lunghezza, 5 centimetri più larga (e si percepisce stando seduti davanti), passo allungato di 5 centimetri che però non si vedono, né nello spazio per le ginocchia di chi siede sui posti posteriori, né nel bagagliaio con capacità di 286 litri come sulla precedente.

I chilometri da fare non sono tanti, sufficienti sì a capire la cosa principale: come va. Non ho strumenti per misurazioni scientifiche, ma la nuova Yaris con il 1,5 litri tre cilindri benzina (da 92 cavalli) più l’elettrico (da ben 80, tanti)  – uguale 116 complessivi, perché nell’ibrido la matematica è un’opinione – va in elettrico spesso e facilmente. Più di prima, che non era poco, segno di maturità del sistema. Non sorprende: il progresso delle nuove batterie serve innanzitutto a questo, eppoi c’è tutto il resto, dalla riduzione del peso al nuovo pianale ad altri affinamenti. Semmai è una conferma che l’ibrido è l’unica vera transizione all’elettrico.

Mi sorprende invece, e non poco, la brillantezza di Yaris: i due motori insieme spingono bene, con l’elettrico sempre più presente quando si prova a tirare come non si dovrebbe. Già, perché l’ibrido è una filosofia oltre che una tecnologia da guidare in nome di un’altra leggerezza – nei consumi, nelle emissioni, nelle ripartenze e anche nel veleggiamento in rilascio.

Il nuovo sistema ibrido è asintomatico: lo è ma non lo mostra, almeno per come a volte ho sentito parlare di questa tecnologia applicata su alcune auto (“ma non cammina!”).

Altro che: Yaris full hybrid risponde con prontezza a ogni sollecitazione, più elastica di quanto mi aspettassi. Perfino il cambio a variazione continua è migliorato, vabbè non dà il feeling di un doppia frizione se si esagera, ma torno al punto: una ibrida va guidata non come sto facendo per una parte dell’andata sulla tangenziale che dall’aeroporto mi porta fino a Waterloo.

Waterloo, il luogo della disfatta di Napoleone. Se volete leggerci un messaggio subliminale tipo luogo di disfatta per chi non crede al full hybrid, affari vostri. In fondo nemmeno in Toyota Italia sembravano crederci più di tanto otto anni fa. Riporto qui, oltre alle impressioni di guida della prima Yaris ibrida su cui sono salito ad Amsterdam nel giugno del 2012, gli obiettivi annunciati allora dal capo azienda. C’era il virus del dubbio, ma solo quello. Davvero un altro mondo.

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