Torno dal Salone di Parigi, anzi dal Mondial de l’automobile (un nome che fa grandeur), con qualche appunto sparso da lasciare al vostro insindacabile giudizio.

FIAT CHRYSLER. Sergio Marchionne ha annullato il suo incontro con la stampa (con inviti ormai random) ventiquattr’ore prima, per altri impegni sicuramente più importanti. Il suo gruppo non ha portato al Salone di Parigi nessuna novità, riservando al Salone di Los Angeles in novembre le nuove Alfa Romeo Stelvio e Jeep Compass. Ma non sarebbe stato più conveniente per Fiat Chrysler non partecipare alla manifestazione, risparmiando un mucchio di soldi così come hanno fatto con nonchalance Ford, Mazda, Volvo,Lamborghini e Bentley?

RENAULT. La cosa più bella in assoluto che ho sentito al Salone di Parigi non è stata del solito Carlos Ghosn, numero uno di Renault-Nissan e attore consumato sulla scena mondiale dell’auto (quest’anno mi sono perso il consueto duetto con Dieter Zetsche, boss di Daimler e altro istrione a quattro ruote, mannaggia). Ma dal capo designer del marchio francese, Laurens van den Acker. Uno che non delude mai e che sta facendo grandi le vendite Renault: “Disegnare è sempre un po’ barare. Chi bara meglio farà l’auto più bella”.

OPEL. Il 13 settembre scorso, e dopo aver costruito con sapienza una sorta di caccia al tesoro, in un comunicato la Opel aveva rivelato che la nuova Ampera-e – auto elettrica sorella della Chevrolet Bolt – ha una autonomia dichiarata con una sola ricarica di più di 400 chilometri, ciclo europeo Nedc (ciclo Epa in America 238 miglia per la Bolt, equivalenti a 380 chilometri). Spettacolare, rispetto alla concorrenza. Ma, colpo di scena, al Salone di Parigi alla Opel Ampera-e l’autonomia viene allungata a più di 500 chilometri. Ho chiesto spiegazioni, mi sono state date, non mi hanno convinto. Ma perché dare i numeri a distanza di due settimane in questo modo e perdipiù sull’elettrico, che già fatica a essere credibile presso i consumatori alla caccia di colonnine e con l’ansia di restare a piedi? Sul piano della comunicazione, la Opel non ha fatto un figurone, pur prendendo per buoni tutti i loro dati (da verificare). Lo dico da persona che crede nelle auto a emissioni zero.

VOLKSWAGEN. Nome a parte, I. D. (sigla e acronimi vade retro) il prototipo elettrico del marchio tedesco mi è piaciuto. Come segno tangibile del cambio di marcia del gruppo a un anno del dieselgate, caso che non è ancora chiuso. Mi sono appuntato I.D. come se fosse un loro nuovo motto: stavolta non perseveriamo. A futura memoria.

TOYOTA. Al Salone di Parigi ha preso la parola Akio Toyoda, il boss del primo gruppo mondiale che in genere schiva le passerelle. Un peccato, perché è un giapponese sui generis nei modi sciolti pur essendo a capo del più giapponese dei colossi industriali, con tutto quel che comporta in termini culturali e di tradizione. Toyoda ha parlato in pubblico per la prima volta di quello che stanno facendo sula guida autonoma nel Toyota Research Institute in America con a capo l’ingegner Gill Pratt. Un personaggio pazzesco, che ho avuto la fortuna di conoscere nella primavera scorsa (qui la mia intervista per Repubblica). Fossi stato in Toyoda, invece di fare un collegamento video con l’amministratore delegato del partner Microsoft, l’avrei fatto con Pratt. Meglio, avrei portato Pratt al Salone di Parigi. Gill e Akio, non ci sarebbe stato niente altro da sentire.

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