Per Volkswagen, gli effetti della truffa sul controllo delle emissioni di alcuni motori diesel – scoperta negli Usa nel settembre 2015 e poi ammessa dal gruppo tedesco – non sono finiti. O forse stanno per finire: dopo l’arresto lunedì scorso del numero uno di Audi, Rupert Stadler, di quel gruppo dirigente di allora oggi non è rimasto più nessuno in servizio attivo. Anche se una multa da 1 miliardo di euro in Germania è comunque di una settimana fa.

Per Volkswagen, l’arresto di Stadler potrebbe spiegare a posteriori perché il manager non sia stato promosso al vertice al posto di Matthias Müller, il numero uno scelto in corsa per gestire lo scandalo del dieselgate e il cambio di stagione, defenestrato all’improvviso nell’aprile scorso. Troppa vecchia guardia il capo di Audi, dunque a rischio magistratura come è poi accaduto.

Ho scritto e lo penso ancora che uno dei motivi della strana (per modalità) uscita di scena di Müller fosse il timore che potesse essere coinvolto anche lui in qualche inchiesta. Per altro, di Stadler si parlava già nel 2015 come potenziale nuovo boss del gruppo, “bruciato” quella volta da Müller. Vedremo.

Le due indagini giudiziarie in corso sul gruppo Volkswagen negli Stati Uniti e in Germania complessivamente coinvolgono oltre trenta persone a vari livelli di accusa, grave quella per Stadler (responsabile o non responsabile, sarà la giustizia a dirlo, il garantismo è una bussola che non andrebbe mai persa).

Tutte però fanno perno su un concetto basilare: chi dirigeva non poteva non sapere della truffa del software. Accusa da dimostrare e non campata per aria: se anche venisse escluso che chi dirigeva avesse saputo, sarebbe quasi più grave. Quanto vale un top manager super pagato che non è a conoscenza di che cosa fa il sottoposto (per anni) in una multinazionale quotata in borsa?

Se il cerino del dieselgate non passerà più a Müller perché messo fuori gioco, a chi resta? Al consumatore. Al quale spetta la decisione di gettarlo via oppure di soffiarci sopra e spegnerlo, continuando a comprare auto del gruppo Volkswagen. Nonostante le inchieste ancora aperte della magistratura e la mancanza di risarcimenti verso chi è stato truffato in Europa, al contrario di quanto il gruppo tedesco è stato obbligato a fare negli Stati Uniti.

I dati di mercato dicono che sono in molti a scegliere di spegnere il cerino: il calo di Audi in maggio in Europa pare dovuto piuttosto alla discesa libera del diesel (che vale infatti anche per Bmw e Mercedes), a causa dei divieti di circolazione crescenti nelle città e al timore di un deprezzamento dell’usato.

Il diesel non è il dieselgate, ma questa è un’altra storia. Che non mi sta a cuore, però è bene non dimenticarla.

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