Ho letto qui con attenzione l’ultimo eccellente post di Diodato Pirone su Tavares, la lunga intervista ancora di Tavares al Sole 24 Ore e analizzato i risultati finanziari di Psa e Fca nel 2020. Tuttavia ancora non mi è chiaro quali siano, a medio-lungo termine, le prospettive di crescita del gruppo e le leve individuate dal ceo di Stellantis.

L’astuto manager portoghese visita le fabbriche (mandando un chiaro messaggio a quelle italiane) ma non sembra curarsi della rete di vendita. A lui interessano, come dice esplicitamente nell’intervista, i margini unitari, non i volumi: basti pensare ad Opel, che fa profitti (527 milioni di euro nel 2020) ma continua a perdere quota di mercato, al punto che la viability del franchise Opel è ormai insostenibile.

Di conseguenza, in assenza di una massa critica di fatturato che supporti il franchise value, l’unica soluzione sembra essere una rappresentazione multibrand di gruppo. Ma al momento non sembra esserci una strategia di sviluppo rete Stellantis, anzi le ultime nomine hanno contribuito a rendere il quadro organizzativo ancora più confuso. Tra i responsabili di mercato, quelli di brand e quelli di funzione, chi decide?

In generale, non ho dubbi che Tavares realizzerà i cinque miliardi di sinergie annuali (80% entro la fine del 2024) che ha promesso, e in questo modo migliorerà il margine di Stellantis. Ma a oggi il 90% del fatturato di gruppo viene da Europa e Nordamerica e non sarà affatto facile sfondare in Cina, affermare il marchio Jeep in Europa, o contrastare i costruttori tedeschi con Maserati ed Alfa Romeo.

Il nuovo piano industriale per Stellantis è stata rinviato all‘anno prossimo: in effetti l’affermazione “possiamo e dobbiamo prenderci tutto il tempo che serve a gettare le basi per un percorso tanto più sostenibile quanto più condiviso” ricorda molto Marchionne (al quale Tavares dice di ispirarsi), che nella navigazione a vista era imbattibile, così come nell’accontentare gli azionisti.

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