Vabbè che un’auto elettrica dovrebbe avere di default un Green Pass, ma così non è. L’auto a zero emissioni e a mille opinioni va a singhiozzo: vendite in aumento ovunque grazie anche agli incentivi ma quote di mercato ancora irrisorie, modelli moltiplicati come pani e pesci dai costruttori ma senza quei margini che un idolo d’altri tempi come il diesel garantiva – e garantirebbe ancora oggi, se solo le case madri non spingessero le filiali a dirottare gli investimenti sul nuovo che avanza.
Il Green Pass è un certificato di virtù pubblica al posto di un obbligo. Non è perché, tanto per fare un esempio, il gruppo Volkswagen investe 70 miliardi sull’elettrificazione si possono obbligare i consumatori a comprare solo elettriche. Meglio un Green Pass che dice: questo è quanto di meglio in termini di sostenibilità ambientale abbiamo, se poi non ti vuoi vaccinare contro Covid e cambiamento climatico sono affari tuoi. Che poi non è vero, perché in entrambi i casi sono affari nostri.
Già sarebbe bene che l’auto elettrificata diventasse maggioranza, come il certificato sanitario. Come? Spingendo su incentivi, infrastrutture di ricarica, comunicazione per un cambio di cultura (da parte pubblica), su prezzi e tecnologia più accessibili come frutto di economie di scala (da parte dei costruttori).
Anche perché l’auto elettrica sembra piacere in modo pazzo, almeno a leggere alcuni dati del mercato italiano in odore di schizofrenia: se a giugno la zero emissioni più venduta è stata la Tesla Model 3, a settembre è stata la Dacia Spring. La più costosa e la più economica, con in mezzo il primato sui 9 mesi della Fiat 500 elettrica (che sia la cosiddetta ragione?).
Erasmo da Rotterdam ci mise una sola settimana a scrivere “Elogio della follia”. Non ricordo granché, ma se non sbaglio sosteneva che la follia fa bene alla felicità dell’essere umano. Ma sì, sarebbe bello un pazzo Green Pass per l’auto elettrica.