Stavo per cambiare subito canale appena la voce narrante ha detto che Alfredo Altavilla è “il vero erede di Marchionne”. Poi ho fatto un respiro profondo e ho continuato a vedere il documentario “Sergio Marchionne”, andato in onda su Rai 3 il 17 dicembre e adesso su RaiPlay. Scritto da Giovanni Filippetto, con la regia di Francesco Miccichè, coprodotto da Mario Rossini per RED Film con Rai Documentari e Luce Cinecittà. Valeva la pena? Valeva la pena.

Marchionne avrebbe compiuto 70 anni il prossimo 17 giugno se un giorno di luglio del 2018 non fosse scomparso improvvisamente, come purtroppo può accadere. Lui ci ha messo del suo negando che lavorare stanca, ma credo non avrebbe voluto vivere diversamente. Uno che non c’entra niente come Freddie Mercury la pensava allo stesso modo, tanto per cambiar tono e restare ad altre storie rimandate di recente in tv.

Viene prima l’uomo o il manager? Il documentario è un ritratto parziale dell’uomo manager, che sono la stessa cosa. E per capire certe sue rudezze da adulto forse serve sapere che a 14 anni non è stato facile essere teletrasportato dalla famiglia da Chieti in Canada per ritrovarsi davanti a un muro e solo dopo superarlo con l’educazione sentimentale verso una cultura che lo porterà a essere il più “americano” degli italiani (se non di alcuni americani).

A immagini di repertorio vengono alternate dichiarazioni di persone che dicono di averlo conosciuto bene. Molte le parole inutili. E diverse assenze fra gente a lui vicina in quegli anni che avrebbero potuto dire cose più consone. Chissà se c’è stato qualcuno che ha risposto no grazie o qualcuno che avrebbe voluto essere stato interpellato ma il cui nome magari è stato sconsigliato. Sarebbe bello (o triste) saperlo.

Lucidi gli interventi di Luigi Gubitosi, pure fuori dal gruppo nel luglio del 2005 (un anno dopo l’arrivo al volante Fiat di Marchionne), del sociologo  Marco Revelli, unico a dire che il manager ha fatto soprattutto un risanamento finanziario, e di Steve Rattner, capo di gabinetto dell’amministrazione Obama ai tempi dell’acquisizione Chrysler da parte di Marchionne, la sua opera omnia. Gran colpo avere la testimonianza di un simile personaggio.

Vengo al punto debole del documentario così la chiudo qui: l’assenza di un punto di vista critico che avrebbe per altro rafforzato l’intero lavoro. Non c’è traccia di insuccessi (a partire da Fabbrica Italia), cose che capitano soprattutto a persone di successo come Marchionne. Né un accenno alla questione chiave della straordinaria avventura di un manager che ha fatto miracoli nella finanza – premiando sempre i suoi azionisti – riducendo però al minimo gli investimenti su tecnologia e prodotto. Silenzio. Che futuro è?

Un caro amico mi ha detto: il documentario racconta di un uomo solo. In effetti era percepito come un personaggio scomodo dentro e fuori il gruppo almeno nel nostro paese. E forse si è sempre soli quando si viaggia a quelle velocità e a quelle responsabilità. Ma essendo stato più volte critico con Marchionne qui e altrove (scripta manent), mi ha colpito che finalmente qualcuno (plauso alla tv pubblica) abbia deciso di ricordarlo dopo un lungo periodo di rimozione. Anche solo per questo vale la pena vedere in tv “Sergio Marchionne” se vi capita in una di queste sere natalizie. E’ un piccolo regalo che comunque si merita.

@fpatfpat

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