Non potevano che rimanere insieme Renault e Nissan, riscrivendo le regole del gioco di un’Alliance nata nel 1999 nella quale dal 2016 è stata inglobata Mitsubishi. Terzo alleato cui non si parla quasi mai, anche se in quest’anno fiscale venderà poco meno di 900mila veicoli nel mondo con un fatturato di circa 17,5 miliardi di euro e con un bilancio in utile. Ad averceli junior partner così.

Renault e Nissan (e vabbè, Mitsubishi) condannati a stare insieme in una alleanza più rigorosa alla 41 bis, perché da soli in libertà potrebbero rischiare l’irrilevanza. E’ questo il senso del nuovo matrimonio celebrato a Londra. Per forza e non per amore. E con una nuova “cultura della fiducia”,  ha sottolineato il ceo di Nissan Makoto Uchida. Evidentemente, finora non c’era.

Basta con gesti anarchici, tipo fare arrestare il boss tirando fuori vecchi quanto noti documenti, costruire auto elettriche simili su pianali diversi, progettare fusioni all’insaputa dell’altro. Basta tirare i dadi (come ha fatto Nissan) sperando in un doppio punteggio per uscire gratis di prigione. Come a Monopoli, d’ora in poi da Vicolo Corto al Parco della Vittoria ognuno pagherà l’affitto all’altro.

Il matrimonio londinese è servito a Renault e Nissan a darsi in particolare due regole che nel 1999 non esistevano.

La prima è che Renault fa scendere la quota al 15% dal 43% di Nissan che detiene, uguale a quella che Nissan ha di Renault. Uguale uguale: perché adesso il 15% in mano ai giapponesi comprende anche i diritti di voto. Significa che le decisioni si pesano e si contano insieme per davvero e non per finta come prima. Uchida porta a casa un tesoretto, con la garanzia dello stato francese (azionista di Renault) e di quello giapponese che, come nel 1999 ma questa volta sullo stesso livello, sono intervenuti nella trattativa con più di una moral suasion. Tra l’altro, in fondo al nuovo accordo c’è scritto che lo stato francese non detiene più diritti di voto, cosa che dovrebbe tranquillizzare i giapponesi.

La secondo regola inedita è che Nissan, come pegno della parità azionaria ricevuta, prenderà una quota “fino al 15%” di Ampere, la nuova divisione delle attività elettriche e software del gruppo Renault voluta dal ceo Luca de Meo per valorizzare questo business e giocarselo separatamente in Borsa entro l’anno puntando a una capitalizzazione di 10 miliardi di euro (oggi Renault omnicomprensiva ne vale poco più di 11).

Quanto vale questo 15% e in che tempi sarà raggiunto per “diventare un investitore strategico” (Uchida) non è stato però chiarito (nell’ottobre scorso, Bloomberg stimava un investimento da parte di Nissan fra i 500 e i 750 milioni di euro). Quale che sia e quanto anche Mitsubishi investirà, de Meo porta comunque a casa un tesoretto, per ottenere il quale ha dovuto sbattere in faccia ai giapponesi l’accordo con i cinesi di Geely sulla produzione comune di motori endotermici e ibridi a livello globale. Agitando loro lo spettro di una terza via se avessero tirato troppo la corda.

Il 41 bis è meglio per Nissan in un’Alliance che diventa Alleanza anche con Geely, Qualcomm, Google e aperta ad altri sviluppi. Ed è meglio per Renault che può contare su un partner giapponese tornato a fare profitti e a rivedere in modo spettacolare (da 250 a 360 miliardi di yen) le previsioni di utile operativo per l’anno fiscale al 31 marzo 2023, nonché presente lì dove Renault non esiste o è debole: nell’anno precedente, Nissan ha venduto i suoi veicoli per il 30,5% in Nordamerica e per il 35,6% in Cina.

“Uscite gratis di prigione”, si leggeva a Monopoli sul cartoncino grigio o arancione in cui ci si poteva imbattere in “Imprevisti” o in “Probabilità”. Nel caso non vi trovavate dietro le sbarre, il consiglio era comunque saggio: “Potete conservarlo sino al momento di servirvene (non si sa mai!) oppure venderlo”. Game over?

@fpatfpat

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